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Contropelo. Poesie per un anno
Questa nuova raccolta
di Maria Marino, Contropelo. Poesie per un anno, rivela la tendenza, da
parte della poetessa, all’autobiografismo, ma anche a uno scavo interiore. Il
suo, però, non è uno scavo interiore che si richiude in se stesso, poiché,
quando si sofferma sull’analisi di emozioni, sentimenti, gioie e dolori provati,
riesce a dilatarne i contenuti prettamente personali, caricandoli di valori
universali, fino a renderli condivisibili con i propri lettori. Nei versi
evidenzia l’importanza di ricevere un sorriso, o sottolinea quanta forza di
volontà sia necessaria per combattere le avversità della vita, oppure fa
trasparire l’amarezza che invade l’anima se si perde la speranza e la capacità
di credere nei sogni.
Nella silloge,
composta da un’unica sezione, è inoltre possibile notare come la componente
meditativa, stimolata dall’osservazione della natura e del mondo che la circonda
oltre che dai risvolti dei rapporti con gli altri (come quelli intrisi di
amicizia, anche per persone che non ci sono più, oppure d’amore per il
compagno o per i figli), diventi dominante in molti testi.
E, sia quando riflette
sul suo presente sia quando ripensa al proprio passato, la Marino, si pone
domande, alle quali cerca di dare delle risposte esaustive, che si basino sulla
saggezza maturata attraverso le esperienze, ma si rende conto che è impossibile,
infatti scrive: «Non ho risposte | possibili | perché il peso della vita | e lo
strazio della morte | si inseguono | in questa altalena | che è, in fondo, la
nostra | esistenza breve» (p. 91). Il suo sguardo non solo si posa su gesti
quotidiani, ma guarda indietro nel tempo, perfino all’infanzia lontana (come in
Ballata per una grande casa vuota).
I testi di
Contropelo. Poesie per un anno, così come evidenziato dal sottotitolo,
sono stati scritti in poco più di un anno (dal 30 settembre 2011 al 1
gennaio 2013), durante il quale ha fermato su carta i propri pensieri, le
proprie riflessioni, le proprie emozioni.
Un’atmosfera
malinconica, a tratti, si sprigiona dai versi di varia lunghezza, sottolineata
dalla prevalenza di pennellate di colori grigi oppure spenti; infatti, vi si
ritrovano soltanto pochi lampi di luce riverberati da stagioni più luminose, le
quali riflettono la spensieratezza e l’incoscienza della gioventù ormai passata,
sono stagioni guardate da Maria Marino con nostalgia, ma anche con l’aspirazione
a una serenità non sempre presente nel suo animo nel momento in cui scrive. La
poesia, difatti, diventa il mezzo per comunicare ciò che prova e pensa e il
luogo privilegiato dove ritrovarsi.
Nella poetessa la
consapevolezza che il trascorrere inesorabile del tempo consuma il futuro
insieme alla vita e porta all’inevitabile approssimarsi della morte («E si va
avanti girando pagine | di calendari | ripetendo | una infinità di volte, |
senza pensare, | cose inutili da ricordare |nella loro insignificanza», p. 62)
acuisce dolorosamente nel suo intimo la sensazione della propria finitudine e
solitudine, anche se sa bene che sono condizioni comuni a ogni essere umano.
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Recensione |
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