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Dal proprio nido alla vita

Grazie al suo estro visionario e creativo, Fabio Strinati nel poemetto Dal proprio nido alla vita – ispirato al romanzo Miracolo a Piombino di Gordiano Lupi – riesce a tratteggiare ariose e fantasiose immagini ricche di significati profondi. Ispirate al mondo naturale gli consentono di descrivere, attraverso similitudini, metafore e allegorie, le varie tappe del viaggio interiore intrapreso per scoprire se stesso «non tanto come poeta e scrittore, ma come ragazzo prima, e come uomo dopo» (p. 9). Il giovane poeta e musicista marchigiano però, nei versi di ampio respiro, a volte dal timbro aforistico, esprime anche i moti che hanno scosso la propria anima e comunica le sue profonde riflessioni sul senso della vita e della morte con folgoranti intuizioni, che offrono svariati spunti di riflessione al lettore.

Già dal titolo del poemetto si può evincere una chiave di lettura: la sua intima aspirazione ad allontanarsi dal proprio “nido” per andare con curiosità incontro alla vita e al proprio destino.

Fabio Strinati, che ha sempre desiderato essere una rondine e di poter volare come gli uccelli, si lascia trasportare dalle ali della poesia e dell’emotività per raccontare le tappe temporali e spirituali del suo sofferto percorso di crescita. E mentre con il pensiero si tuffa in spazi sconfinati e aperti con «quella curiosità  | che solo la vita, e un volo di libertà  | possono saper esprimere, con poesia | e sublime musicalità d’intrecci e colori mai illusori…» (p. 26), fruga con la mente tra i propri ricordi analizzando segmenti di tempo già vissuto, perché sa che è proprio il tempo, «che passa, che fradicia i nostri | segni indelebili sulla pelle, che scortica | la giovinezza, figlia dell’aria e dell’acqua» (p. 15), a segnare i confini tra le diverse età dell’uomo, tra la fanciullezza e l’età adulta.

Gli torna così alla memoria il ricordo di quando, durante un periodo in cui si sentiva pieno di turbamenti e «più inutile di un paio di scarpe indossate in mezzo al mare» (p. 29), si recava in cima a un monte in cerca della sua vera identità. Si rivede seduto su un masso intento a osservare il volo degli uccelli, ad ascoltare la voce del vento, a lanciare piccoli sassi nel vuoto per cercare di attenuare il senso di solitudine che gli opprimeva l’anima, per smorzare la sensazione di freddo che si impadroniva del suo corpo e «per poterli vedere, ascoltarli cadere nel vuoto | come le anime sole e distratte, che cadono dentro la | loro anima | senza nome né cognome…» (p. 24).

La montagna sulla quale si rifugiava nei momenti più inquieti della sua esistenza rappresentava per lui un luogo dove trovare un approdo sicuro, un luogo dotato di poteri misteriosi in grado di leggergli nell’anima «e carpirgli i suoi pensieri disadattati per questa vita | o per questo mondo crudele» (p. 38). A questa montagna, come ad altri elementi naturali o atmosferici, agli uccelli (e soprattutto alla rondine) o al loro volo, ecc., ha attribuito il compito di rendere più comunicative e trasparenti le sensazioni che gli si accavallavano dentro.

La poesia dello Strinati è intrisa di rumori, di suoni, di vibrazioni, e perfino il silenzio non è privo di echi. Tutte queste “voci”, che non sempre sono percepite, gli ricordano il suo essere uomo e quanto tutti gli uomini siano fragili. Gli rammentano pure quanto spesso nel corso delle stagioni della vita (specialmente durante la gioventù) si abbandonino, come lui, al soffio instabile e variabile “del vento” delle inquietudini e quanto può essere grande la sofferenza dell’anima umana in cerca di identità, di maggiore saggezza e di un posto nel mondo. È convinto che tutti noi «Prima di muoverci nel cielo infinito, dobbiamo capire | che rondini siamo. | Prima di imparare a volare, dobbiamo saper | usare bene le nostre ali… | prima di diventare vecchi, dobbiamo conoscere | bene la nostra giovinezza; è da lì che noi tutti veniamo!» (pp. 48-49).

Al termine del viaggio nel profondo del proprio “Io”, Fabio Strinati diventa consapevole che nonostante la vita a volte possa essere “cattiva” e nonostante la morte, prima o poi, se ne “impossessi” vale comunque sempre la pena viverla e sperimentare le diverse emozioni e sensazioni che ogni sua età regala.

Recensione
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