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Di ombra e di luce
Marisa Cossu, nei versi della raccolta Di ombra e di luce, esplora la propria esperienza di vita per meditare
sulla complessità e fragilità dell’esistenza umana, la quale anche se racchiusa
in un arco limitato di tempo – definito da due date: quella della nascita e
quella della morte – è ricca di vibrazioni amorose, emozioni contrastanti,
inquietudini e un’inspiegabile e misteriosa tensione verso l’infinito. E mentre
fruga nella propria mente alla ricerca di ricordi per provare a dare delle
risposte alle sue domande sull’esistenza, sull’oltre e su «quella pena greve /
d’essere uomo, ombra d’esistente» (pag. 18), il suo sguardo indagatore si posa
sulle metamorfosi che subiscono gli elementi naturali, specchi metaforici delle
sue emozioni, e il suo stesso corpo con il passare delle stagioni.
Fin dalla poesia che apre la prima delle tre sezioni in cui è divisa la
silloge, dal titolo omonimo, infatti, si chiede da dove viene e se ci sono delle
ragioni al proprio “vagare nell’esistente”, «in questo manifesto / di cose
intorno al sole», e sembra riesca a trovarle oltre che in «quell’amore che solo /
giustifica la vita» (p. 25) donandole significato, anche in quella Bellezza che
intravede oltre l’oscurità che nasconde la vera luce.
Nella seconda parte, Dell’amore e di altre storie, è il tema
dell’amore, unitamente al malinconico «sentimento / del bel tempo perduto» (p.
60) della gioventù, che si nutre di sogni, illusioni e speranze, a pervadere i
contenuti dei versi. Nella poesia L’iris, la Cossu parla pure di un’altra
peculiarità di questa meravigliosa età: la non coscienza della sua brevità:
«Qui, dove l’iris nasce presso il mare, / distendevo le membra sulla sabbia /
sazia di giovinezza e di emozioni […]. Il tempo si nutriva del mio corpo / ed io
dei sogni che salivan lievi / in alto con il grido degli uccelli / in un attimo
eternamente breve». In alcune composizioni, però, anche la percezione della fede
trova spazio nei versi: «E allora mi colpì tanta bellezza, / Vergine Madre, che
ti vidi statua / su un cuscino di rose. […]. Non fu solo bellezza a entrarmi
dentro / ma l’incontrarti in quella valle amena, / vederti all’improvviso, / mentre
salivo il monte della vita» (pp. 78-79).
Il sentimento del tempo, invece, è ancora una volta uno dei temi,
insieme a quelli della vita e della morte, del nulla e del tutto, trattati
nell’ultima sezione (Il tempo e le stagioni). Ma ciò che caratterizza il
cammino terreno della poetessa sono sia la costante ricerca di quella
luce che ha la forza di dissolvere l’ombra, quando «La morte dice l’ultima
parola, / la incide con la selce sul graffito / della roccia ormai nuda, / sugli
occhi spalancati, / sulle bocche serrate» (pag. 134) sia il desiderio di
cancellare la solitudine, il dolore e l’angoscia, che a tratti invadono la sua
anima, vagheggiando quel luogo dove regna l’armonia primordiale e le cose
posseggono una loro forza archetipa e misteriosa.
Le poesie di questa raccolta di Marisa Cossu rivelano la sua attenzione
per la forma e la sua scrupolosa conoscenza della metrica. Queste
caratteristiche non rendono, però, il suo poetare opprimente o pesante, al
contrario, gli donano leggerezza ed eleganza, liricità e armonia anche quando
racchiude i propri messaggi poetici in versi metaforici e musicali.
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Recensione |
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