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I vuoti del mosaico
Il titolo dell’ampia
raccolta di Gianfranco Jacobellis, omonimo di quello della poesia d’apertura,
I vuoti del mosaico, stimola la curiosità del
lettore invogliandolo a leggerne le composizioni. Pagina dopo pagina, il suo
significato diventa più chiaro: il mosaico di cui parla il poeta è la vita
stessa ed è composto sia dai frammenti dei momenti che ha già vissuto (nei cui
colori o non-colori, ombre e luci, si riflettono le tante e contrastanti
emozioni provate) sia dai vuoti delle piccole tessere tuttora mancanti,
simboleggianti invece quelli che ancora deve vivere e le cose che ancora deve
fare. Col passare del tempo gli spazi vuoti rimasti si riempiranno e sarà la
morte ad aggiungervi l’ultimo frammento, completandolo.
Il poeta, nonostante
sia consapevole che la vita è fragile e dura poco, non teme la morte, perché ha
la speranza di «salire a far parte | della grazia delle stelle» e di «brillare di
purezza | tra i silenzi» (p. 8) colmi di verità, sconfiggendo il buio del nulla.
Non vuole sprecare il tempo che gli resta da vivere, ma desidera invece pensare
«per poter raccontare | quello che [ha] visto» (p. 9) nei suoi versi e riflettere
per tentare di capire il senso dell’esistenza, perché solo comprendendolo si può
provare ad «arrivare al centro di noi stessi | con la sintesi delle cose vere»
(p. 18). È comunque convinto che anche dopo la morte «continua a vivere | chi
alle sue parole | ha donato radici», mentre, al contrario, «comincia a morire |
chi da vivo | cancella il mondo | e le altre memorie» (p. 39) dai propri pensieri,
ritrovandosi alla fine come unica compagna la solitudine, da lui considerata
l’anticamera della vera scomparsa.
Jacobellis spesso pensa
al passato, ma mentre a volte un sottile velo di nebbia sembra avvolgere la sua
mente lasciandogli intravedere solo bagliori dei propri ricordi, altre, invece,
la loro memoria torna improvvisamente vivida e ha la sensazione che «speranze e
sogni» cozzino contro la realtà.
E ora che si è
incamminato verso il tramonto, verso la stagione autunnale, della propria vita,
anche se si accorge che il presente è solo un’illusione, che subito si dissolve
per nascondere come il tempo dell’esistenza si consumi in fretta, tenta di
viverlo intensamente, nonostante si senta come quei «pensieri autunnali
predestinati | dimenticati e accartocciati | tra i ripostigli delle foglie cadute»
(p. 65).
La poesia di Gianfranco
Jacobellis è un viaggio intimo, tra sogno e realtà, durante il quale luci e
ombre, speranza e disincanto, tramonti e albe, diventano metafore – del nulla e
del tutto, del finito e dell’infinito, della vita e della morte –, che non
intaccano la nitidezza dei contenuti o l’armonia e la leggerezza dei versi,
intrisi di una sottile vena di malinconia e di desiderio di eterno.
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Recensione |
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