| |
Per sillabe e lame
Per sillabe e lame
è una raccolta di poesie di Francesca Simonetti, nella quale
ritroviamo riflessioni sulla vita e sui suoi accadimenti, sul suo significato e
su cosa resta di ogni singolo individuo quando la morte taglia i fili della sua
caduca esistenza. Riflessioni dalle quali si evince che la poetessa attribuisce
alla parola – «connubio di spirito e sangue» (Mani prigioniere, p. 24),
di «sillabe e lame», di possibile espressione di armonia e disarmonia, di
dolcezze e asperità – la capacità di conservarne la memoria nel tempo.
Alle poesie che aprono
e chiudono la silloge, Prologo e Congedo, vengono affidati dalla
Simonetti compiti ben precisi: alla prima, affida quello di rivelare al lettore
una delle funzioni più importanti che attribuisce alla poesia, cioè quella di
«costruire un ponte fra i due estremi» «dell’infinito e del finito», senza la
pretesa di «colmare il vuoto», «l’abisso», che li separa, con la speranza però
di riuscire a «narrare la realtà» «melodiando la parola»; alla seconda, invece,
quello di esporre una domanda che lei stessa si pone: «La nostra finitudine ci
opprime – l’orrore dei delitti | ci attanaglia – ritorna la belva nell’umano:
l’arte ci salverà?», una domanda difficile, alla quale, non fornisce una
risposta chiara e definita, ipotizza soltanto che forse «La parola o la nota
d’una corda» potrebbero aiutare l’uomo ad avere una risposta, ma sempre e
comunque soggettiva e inquietante, in quanto l’esistenza è un mistero
insondabile, un enigma impenetrabile anche per la ragione. Ogni individuo, così
come fa la stessa poetessa, infatti, può solo conoscere il proprio passato e
ripensare (a volte con rimpianto altre con incredulità) a ciò che gli è
successo, di buono o di cattivo, guardare al proprio presente e sperare ancora
in un futuro, anche se non infinito.
| |
 |
Recensione |
|