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Sul filo dell'attesaIl libro Sul filo dell’attesa. Poesie e prose (Fermenti Editrice, 2018) è stato pubblicato a cinque anni dalla scomparsa di Maria De Lorenzo (1921-2013), con l’intento di riunire al suo interno tutta la produzione letteraria dell’autrice – le sillogi poetiche da lei date alle stampe dal 1974 al 2012, quella postuma curata da Nino Borsellino, suo marito, e due prose. Leggendolo si può dunque seguire l’intero percorso della sua scrittura, notarne i cambiamenti e scoprire la varietà e ricchezza dei temi trattati nel corso degli anni.
Già Ofelia e altri nomi (Carte segrete, 1980), la seconda, presenta delle innovazioni. Infatti, mentre nella prima la poetessa parla sì del sentimento amoroso, ma si sofferma a riflettere soprattutto sulla complessità e brevità dell’esistenza – «Niente esiste / E tu sei ancora / qui / fenomeno / in un’altalena / di slanci / e cadute / con la tua enfasi / in corpo / come in attesa / dell’autopsia» (p. 10, 9. Altalena) –, in questa i temi da lei privilegiati sono quelli della follia e del dolore, dell’amore e della morte – «Andare sarà dolce distesa / di lontananze / e prolungati e disperati / addii / alla dimora del vivere / crudele» (p. 60, 12.). In entrambe, però, gli elementi naturali occupano un posto di rilievo. Ad esempio, In bilico sono molti gli animali (rane, api, uccelli, ecc.) menzionati nei versi, con o senza significato metaforico, e fra di essi spicca soprattutto la figura del ragno, che, come il destino, tesse complesse e imprevedibili tele; in Ofelia e altri nomi sono, invece, piante e fiori, immersi in un ambiente acquatico e umido, a sfiorare il corpo di Ofelia in balia della corrente, richiamando alla mente l’immagine del quadro di John Everett Millais. In Diario d’utopia (Empiria, 1999) sono confluite, invece, le composizioni di due raccolte, Madrigali di Utopia (1996) e Gliommero (Edizioni l’Impronta, 1998), pubblicate l’una a poca distanza dall’altra. In esse si nota come la De Lorenzo inizia a osservare il mondo che la circonda con maggiore attenzione, diventando sempre più consapevole della presenza del Bene e del Male tra gli uomini, delle tante contraddizioni della realtà e della difficoltà di esprimerle con parole appropriate nei versi – «E sono tanti gli uomini / e poche ancora le parole / e ogni volta ciascuna / si fa in quattro / per riuscire a parlare / Sul foglio abbandonato / si vanno a collocare / ambigue ed ibridate / di niente ammaestrate / e ebbre come sempre / riprendono a giocare (p. 98, 8.)». E si percepisce, inoltre, il suo intimo bisogno di immaginare l’esistenza di un luogo nell’Universo, che chiama “Utopia”, nel quale la luce trionfi sul buio, la poesia sul silenzio, l’amore sull’odio e di farne parte. Ancora una volta, nei versi di Madrigali di Utopia, è presente la figura di Ofelia, essa però non è più simbolo di morte, bensì di rinascita: «Ofelia non morrai / mille vite berrai / fra i duri sassi / del ruscello deviato / Non tradirti / Rinnova il canto della tua follia / anche se il sogno tuo / di nuovo sarà infranto / da sempre più crudele tirannia (p. 123, 6.)». La poetessa, in Reliquario d’amore (Scheiwiller, 2002), non solo parla ancora dell’amore, della poesia, del nostro pianeta, dell’Universo e dei suoi astri, ma continua anche a osservare l’umanità, la sua crudeltà, i suoi sogni e le sue illusioni, il suo bisogno di schiavi, eroi e dèi per affrontare le proprie paure – «Forse da oscuri abissi / d’altri cieli e altri mari / corrono gli dèi a sfidare / i viventi / Qui dove a dismisura / le tenebre infittiscono / e regna la paura / con un gesto inconsulto / tu ancora ti chini / a cogliere una primula (p. 142, 21.)». Nella raccolta Madre cometa (Edizioni Polistampa, 2005) il linguaggio della De Lorenzo diventa più crudo e, nonostante un’atmosfera onirica continui a serpeggiare tra i versi, si percepiscono con maggiore intensità il suo dolore, il suo disinganno, la sua inquietudine, scaturiti da una sempre maggiore consapevolezza della fragilità della vita, dell’uomo, del nostro stesso pianeta, e dalla certezza che perfino le idee sono transitorie, soltanto temporanee. La poesia diventa il suo rifugio, un mezzo per combattere il nulla, scrive infatti: «Stammi stretta alle costole / poesia / non distrarti da me / A poco a poco mi ritroverò / in ciò che ho abbandonato / lungo le strade dell’adolescenza / quel gran mondo sognato / e inconsapevolmente perduto / che le sue impronte / dovunque ha lasciato» (p. 222, 11.). L’ultima raccolta date alle stampe dalla poetessa porta il titolo La tenue vita (Fermenti Editrice, 2012). In alcune sue sezioni affronta temi già trattati, ne Il bello dell’infanzia invece troviamo uno strappo: ripensa al proprio passato e nella poesia d’apertura lascia un testamento spirituale e letterario: «Carta bianca rubami le parole / da pronunciare all’unisono / perché mandino scintille / come segnali d’amore / Non seppi mai odiare / non capii mai chi fa del male / Sulla mia scia potrò forse portare / frammenti del passato / e lampi di futuro // Carta bianca riaccenditi del fuoco / che arde e non consuma / che mi ha generato / Non spegnerlo via via» (p. 225, 1.). Le due brevi prose Quell’angelo nascosto e L’ultimo sogno precedono invece la raccolta postuma Un lungo desiderio (Fermenti Editrice, 2014, a cura di Nino Borsellino), che completa l’opera omnia della De Lorenzo. Nella postfazione al volume, Borsellino informa che i testi che la compongono non risalgono «a un unico periodo e neppure a un’unica fonte di ispirazione» e che su di essi non compare quasi mai una data. In questi, come in tutti gli altri delle precedenti sillogi, i segni d’interpunzione, come virgole e punti, sono assenti, mentre compaiono punti interrogativi e parentesi. Le poesie dedicate ad alcune città, tra cui Praga, Pechino, Los Angeles, sono invece una novità che testimoniano la ricchezza di contenuti presenti nella poesia di Maria De Lorenzo, a tratti non priva di sorprendenti modulazioni musicali, come ha notato il musicista Boris Porena. |
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