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“Incontrai per la prima volta
l'Africa nell'aeroporto di Luanda, in Angola” ricorda Angelo Ruggeri, “era
l'anno 1972”. Il suo romanzo è innanzitutto Mal d'Africa, quella strana
malattia dell'anima, quella sindrome da attaccamento che pare colpire chiunque
abbia messo piede nel continente nero.
Ma Africa di Ruggeri è di
più: è un lungo racconto autobiografico, è un risveglio di coscienza per gli
occidentali, è un omaggio a poesie, stralci di discorsi di importanti scrittori
– Pascoli, Edmondo de Amicis, Ada Negri, Galileo Galilei - che costellano le
pagine e probabilmente l'esistenza dell'autore e che aiutano anche noi a leggere
il Sud Africa in modo alternativo, diverso, consapevole.
“Migliaia di lavoratori ogni
anno lasciano la patria” dice Pascoli nel Discorso agli studenti
dell'università di Messina del 1900 citato da Ruggeri che si sente uno di
quei lavoratori e chiede al lettore distratto: sai cosa significava essere un
ingegnere civile nella Repubblica del Sud Africa negli anni '70? Vivere sulla
propria pelle la “rivoluzione dei garofani” e gli ultimi respiri della
colonizzazione inglese sulle terre africane? E poi ancora la mancanza di diritti
sindacali e la legge che non tutelava abbastanza, duro lavoro sul cantiere e
licenziamenti ingiusti?
“Continente arcano, incanutito,
lacero, malsano” usando le parole di Edmondo de Amicis, per Ruggeri l'Africa è
disincanto e desiderio, sconfitta e rivincita. Quando torna in Italia e si rende
conto che in pochi erano a conoscenza di cosa accadeva in Sud Africa, vuole
raccontare la sua storia e la sua verità con un linguaggio asciutto e
giornalistico.
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Recensione |
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