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Esenin e Gor'kij figli e vittime della rivoluzione russa del '17

Il dramma del confine e la sua tragedia. Eseniu e Gor'kij sono due poeti coevi alla rivoluzione russa dell'ottobre del '17, o meglio sono figli di un'epoca implosa, morta per sua intima consunzione e non, invece, sostituita da un'epoca nuova. percio, quest'epoca, dagli inizi ancora ineerti e dunque sanguinosi.

Quale il ruolo della letteratura quando il presente è abietto e il futuro violento, perché violenza chiama violenza e perché si fa in modo che la violenza possa essere estirpata solo eon la violenza? Quando l'intellighentsia o s'arrocca nei privilegi che s'è conquistata, o attratta dalla visione che, poiché è tutto da costruire, il nuovo mondo lo si può innervare con i valori più nobili: il giusto, il Bello, il fraterno? O quando, per uscire dal vecchio e darsi un posto nel nuovo in arrivo si usano tutti i mezzi che s'incontrano, fino a non reggerli (Esenin) o ad esserne travolti (Gor'kij)?

Giuseppe Mario Tufarulo in La luna è morta e lo specchio infranto (due drammatici versi di Esenin), con un saggio introduttivo di Pasquale Pantaleo, racconta la tormentata esistenza dei suoi due poeti, ma non risponde a questi interrogativi, li porge ai lettori, perché trovino essi la risposta più confacente al loro patrimonio assiologico, ai loro valori.

Sergej Aleksandrovic Esenin (1895-1925), "angelo biondo", muore solo in una stanza d'albergo, dopo aver scritto col proprio sangue che "non è nuovo morire" ma "nemmeno vivere". Bello e fascinoso, il suo breve tragitto terrestre è state terribile ed esaltante, è sceso negli inferi ed è stato baciato dal successo, giunge al suicidio dopo averlo tentato e molto amato, com'e per tutti i suicidi che sono null'altro che il più solenne gesto di una vita vissuta sempre sul confine: di qua abiezione, di là gloria.

Come tutti i poeti istintivi, coloro che, pur privi di macerazione dottrinaria, sono capaci di raccontare la loro finissima sensibilità, Esenin ha creduto che, nella rivoluzione che ribolliva e che avrebbe travolto un mondo tanto fatuo quanto rapace, con i suoi versi potesse redimere i suoi contadini dalle cui più profonde bassezze di miseria economica tramutatasi in miseria morale, proveniva. Ammirò, usò, amò tutti coloro che potessero aiutarlo nel raggiungere il successo, maschi o feminine che fossero, lasciò la sua impronta nell'Occidente, che per la prima volta scopriva il secolare volto sofferente della Russia, quello che offrì le braccia ad una delle più sanguinose rivoluzioni della storia.

Assai diversa la figura di Alekséj Maksimovic Gork'ij (1868-1936), ma anch'essa con il pathos del tentato suicidio e con un momento di autorevolezza nell'elaborazione delle ragion d'essere del "Socialismo senza sponde".

Dopo un'infanzia in cui solo la nonna ebbe per lui gesti e sguardi e parole d'amore, Gor'kij mostrò al mondo i Bosjaki (così miserabili da non avere nemmeno le scarpe) i lumpen proletariat (i sotto proletari, i proletari della strada), i Byvsie ljudi (gli uomini bestia). Gor'kji aveva un ampio e solido spessore culturale, fu uno dei teorici della rivoluzione, interloquì con Lenin e con Stalin e la sua improvvisa morte fu attribuita alla banda di Trotzkij. non fu altro che uno dei tanti delitti politici della rivoluzione, che non paga d'aver ucciso i suoi nemici di classe, ora uccideva anche chi aveva pensieri dialettici con quelli di chi s'era impadronito del potere "Il figlio del vento", fu un potente narratore perché aveva conosciuto la bontà, quella della nonna (Baba) e aveva, perciò. lo scopo dell'azione umana.

Che cosa è rimasto di questi due attenti e partecipi testimoni del loro tempo? Figli e vittime della rivoluzione che credettero in grado di cambiare gli animi e il rnondo?

La letteratura "non dà pane", perché dà un sollievo allo spirito dei pochissimi che sogliono interrogarsi sul loro compito nei confronti dell'universo; e il suo trionfo è solo passeggera infatuazione collettiva.

E questa sterilitâ educativa della letteratura fa dire a Pasquale Pantaleo che essa dev'essere paolinamente edificante, mostrare le ragioni dell'esistenza, passare dal quia est al quia sit, in altre parole essere depositari e veicolo di verità.

Gli è che la domanda pilatesca "Che cos'é la verità?" ammutolì perfino il Dio di Paolo. Poeti e scrittori e saggisti, basterebbe che fossero meno sensibili alla munificenza dei "signori", come notava Gramsci, per lasciare tracce più durature, solo scrivendo ciò che loro ispira ciò che vedono. Ma forse chiedere agli scrittori di essere uomini meno sensibili al fasto di quanto lo sono tutti gli altri è ehiedere truppo. Spetta ai lettori, come camminando in un campo incolto, saper cogliere l'erba medicamentosa e iI fiore.

Esenin e Gor'kij, vivendo nei tumulti di un'ingiustizia sociale ormai insopportabile, sono stati se stessi, sempre nel dramma confinante con la tragedia, fino a pagare con la vita questa identità fra uomo e poeta.

29 luglio 2009

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