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Alessia e Mirta

Una silloge, quella di Raffaele Piazza, il cui focus ruota e si intreccia attorno al tema del femminile concepito secondo gli antichi miti di una vasta area circostante il Mar Mediterraneo, legati ai riti che celebravano la vita e la morte degli umani come strettamente vincolati ai cicli naturali comprendenti morte e rinascita. Così il mito di Persefone/Kore, figlia giovinetta di Demetra, rapita da Ade e portata nel regno infernale, imprime una cadenza ai ritmi vegetali determinando l’alternarsi delle stagioni, a seconda del suo riapparire sulla terra per ricongiungersi alla madre, per poi ritornare agli Inferi.. Molte, in queste poesie, le allusioni alla classica simbologia del femminile – fra le tante, "alla scuola della luna" (pag.41), "Alessia scrive una poesia delle ninfe" (pag.43).

Benché le due figure di Alessia e Mirta che danno il titolo alla raccolta, non coincidano perfettamente con le fasi della antica narrazione, è da essa che traggono il senso profondo, ossia il nesso con la vita insito nella natura femminile, come si ritrova nel mito delle Grandi Madri, anche nella versione, trasformata e riplasmata dalla religione cristiana, di Maria di Nazareth.

Per Piazza la rappresentazione del femminile si fonda essenzialmente sulla luce emanata dalle due donne – Alessia, giovane moderna proiettata verso il futuro e l’altra, Mirta, figura affascinante benché non risolta, in quanto prigioniera di un tormento che la conduce a una tragica fine. Delle due, è Alessia a vivere nella maggior parte dei testi come attrice primaria, nella sua naturale brama di amore e di voluttà, concentrata sull’eros che si esprime e si evolve nei rapporti con l’amante/fidanzato, mentre Mirta interpreta un ruolo apparentemente secondario, ma volto a dare vita a un’immagine alternativa di donna matura e problematica.

Alessia/Kore, portatrice di un’energia vitale travolgente nel suo desiderio amoroso, nella felicità da cui si lascia guidare nella vita, spicca in una luce abbagliante che sembra non conoscere l’ombra né la notte. Il suo rapporto col corpo emana un eros liberato che dona principalmente a lei una felicità totale, mentre invece il suo compagno resta sullo sfondo come un figurante. La luminosità della sua immagine ne esalta la funzione simbolica più che realistica.

Essendo il ruolo della poesia quello di trasfigurare il reale al di sopra di tempo e spazio, coordinate troppo legate al quotidiano, avvertiamo l’innamoramento del Poeta per questa fulgida figura di donna che ha le sembianze di un ideale sognato, osservato dall’esterno, come in uno specchio, il cui controcanto è affidato alla misteriosa e conturbante Mirta. Donna segnata dall’esistenza, da vincoli psicologici forse legati all’età anagrafica, a lei non a caso è affidato l’aspetto più complesso del percorso vitale. Di lei non sappiamo quasi nulla, se non dettagli relativi ai ricordi del Poeta e le

molteplici relazioni amorose da cui sembra non aver tratto reale soddisfazione. Con lei cambia il punto di vista dell’Io narrante: passando dalla terza persona alla prima, il Poeta dialoga con la sua ombra, la evoca chiamandola "amica", amica carissima, alla ricerca di se stessa, capace di sentimenti pur senza riceverne conforto.

Laddove Alessia incarna il volto "sano" della donna, nella fase in cui sono ampiamente giustificate le illusioni, Mirta è vincolata alla oscurità del suo essere. La sua presenza è come un monito, un avvertimento sulle diverse strade che segnano il percorso di vita di una donna. L’accenno che lei stessa fa ad Anne Sexton, grande poeta statunitense dalla turbinosa e infelicissima vita erotica, ne indica la somiglianza, soprattutto nel tragico finale. Si comprende che in Mirta, come nella Sexton, il male oscuro, ovvero le malheur de vivre, è il nemico implacabile contro cui è difficile combattere, nonostante la fervida amicizia che la lega all’Io narrante.

Solo alla fine, allorché la fulgida Alessia ritorna al centro, sempre nella pienezza del suo rapporto col corpo e con l’eros, si avverte che qualcosa sta cambiando impercettibilmente nella relazione con l’amoroso di sempre: accenni a un ripiegamento su di sé, a una maggiore consapevolezza della propria persona, forse un sottile distacco dal rapporto fusionale che li lega. Un abito nero da lei indossato per la festa di Ferragosto segnala la ricerca di una seduttività più matura e articolata (o forse persino un oscuro presagio).

Pur nell’apparente chiarezza dello svolgimento del loro destino, il mistero circonda le due donne, ed è questo il maggiore pregio della raffigurazione pittorica di queste due immagini del femminile - la loro diversa "campitura" (termine caro al Poeta) che definisce la molteplice e variegata posizione dell’Autore di fronte al proprio personale coinvolgimento di fronte alla propria opera d’arte.

Recensione
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