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Antonietta Benagiano, scrittrice prolifica e
polivalente, si cimenta nel dramma con La soluzione in tre atti. Al di là del
genere letterario, l’autrice manifesta la sua visione esistenziale ispirata a
principi e valori irrinunciabili, coerente con il suo impegno umano e
intellettuale. Nella lotta tra i Tek e i Sap, la Benagiano trasferisce il suo
malessere per una società “dimentica del valore intrinseco dell’individuo”, alla
ricerca di una ratio che ripudia sentimento e immaginazione, osannante ad una
esasperata cultura dell’immagine, in nome di un giovanilismo ad oltranza, nel
folle tentativo di esorcizzare la vecchiaia, perché no?, la morte.
Un’ennesima provocazione che la Benagiano
lancia, prospettando uno scenario futuribile, come occasione di riflessione e di
dibattito: il pianeta distrutto, l’apologia del brutto.
Di contro agli “indegni” Sap, ai loro sentimenti
stravolti, all’utopia di un farmaco che “restauri” l’anima, in sintonia con il
pensiero di A. Benagiano proponiamo la rilettura leopardiana: “Le persone non
sono ridicole se non quando vogliono parere ed essere ciò che non sono. Il
povero, l’ignorante, il rustico, il malato, il vecchio non sono mai ridicoli
mentre si contentano di parer tali, e si tengono nei limiti da queste loro
qualità. E anche in barba ai Tek superstiti, al miraggio di una razionalità
armonica di una “soluzione”-assenso, incoraggiati dalla Benagiano, ritorniamo a
Leopardi: “… O l’immaginazione tornerà in vigore, e le illusioni riprenderanno
corpo e sostanza in una vita energica e nobile… e la grandezza e la bellezza
delle cose torneranno a parere una sostanza, … o questo mondo diverrà un
serraglio di disperati, e forse anche un deserto”.
Dall’intrigante lettura del
testo emergeranno ulteriori stimoli di approfondimento per la salvezza dell’uomo
e del pianeta.
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Recensione |
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