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Anche per la poesia vale la
regola delle cinque W, cui si richiamano i giornalisti (What, Who, When, Where,
Way). Vale naturalmente al rovescio. In poesia diviene interessante ciò che non
si sa ancora. Anche per questo, la poesia irrita i lettori di giornali. Leggendo
una poesia devi abituarti ad ammettere che ciò che non capisci è appunto ciò che
ti viene detto. Quando poi la poesia abbia inclinazione narrativa e
argomentativa, come quella qui raccolta, il conflitto tra la necessità di
fondamenti comunicativi e la loro problematicità può divenire più duro. La
scrittura di Erminia Passannanti mette in discussione radicalmente le cinque W:
non sono ovvi, e a volte non sono perspicui, né l’oggetto né il soggetto né il
quando né il dove né tanto meno il perché. Vediamo.
Di che cosa parlano queste poesie, e di che cosa parla ciascuna di esse?
L’ordine della metafora sovrappone oggetti diversi e inconciliabili, mette
dentro il recinto delle proporzioni e delle categorie presenze improprie e
sconcertanti. E’ un effetto a volte perfino surreale, mediato da una
predilezione per il mondo onirico: e d’altra parte, si legge in Sette e trenta,
«sotto le direttive di Morfeo | mi comporto benissimo. Nessun dislivello». Nei
sogni le cose stanno fuori posto, fuori del posto che la luce diurna avrebbe
assegnato loro. Fuori posto diventano visibili, come ha ricordato Guido
Guglielmi parlando di questa poetessa; e diventano capaci di sprigionare un
significato nuovo, l’unico che interessi: «devo io | giungere al confine
inconsueto del
vero | allo sconfinamento del senso» (In prossimità di…, un testo illuminante al
proposito).
Chi parla? Il soggetto vive nell’incertezza, scisso tra vita diurna
e vita dei sogni: «guardami spogliata dei miei beni terreni | che condivido con
gli altri | il cammino lungo una strada bianca | che si perde, si perde nei sogni»
(La vita consacrata). Tra i «beni terreni» sta l’identità dell’io, la sua
maschera sociale; e la scrittura in versi serve ad aprire prospettive nuove, a
interrogare livelli della coscienza altrimenti non investigabili. Anche nel
momento in cui abbracci la prosa riflessiva per ripercorrere la storia di Gesù,
l’io si colloca parte all’interno di quell’esperienza, identificando la propria
voce con quella di Maria o scendendo nella sua logica più fonda, parte
all’esterno di essa, giudicandola e verificandone la credibilità e il
significato.
Il quando e il dove non sono retti da legame biunivoco con il testo;
ne sono invece una diretta funzione, un attributo. Si legga questo notevole
attacco: «scagliata fuori da una stanza screziata | di marrone e ocra sorvolo le
auto imbottigliate | nel traffico reggendo a coppa tra le mani | una ciotola di
riso come a tuffarmi | nell’azzurro tremulo d’un banco oceanico | nel solo
interesse dello spirito» (Profezia). Dove siamo? Nella stanza screziata di
marrone e ocra? Nelle auto imbottigliate nel traffico? O nell’azzurro
del mare? E qual è
l’«interesse dello spirito»? La legge della scrittura poetica chiede di
ammettere che si sia, contemporaneamente, in tutti e tre i luoghi sopra evocati;
non in successione, ma in modo simultaneo. L’interesse dello spirito è appunto
di tenere unito ciò che è unito dentro l’io ma non può esserlo fuori di esso. Il
tempo e il luogo di questa poesia sono sprofondati dentro una dimensione
profonda del soggetto (diciamo la dimensione dell’inconscio) nella quale
esistono solamente il presente, tanto in senso spaziale quanto in senso
temporale. Può così ben dirsi: «Non avevo il Principio – che è il Numero. || il
numero che mi doleva nei ricordi» (Calcolo).
Quanto al perché, lo sdoppiamento umoristico dell’io (di cui ha
parlato Romano Luperini) altera la catena delle causalità, separando i dati
oggettivi della realtà dalla visionarietà onirica e surreale: in luogo di
spiegazioni, ecco il giustapporsi di piani diversi della realtà, ecco la
frantumazione dell’esperienza. La sintassi dei nessi è attraversata dalla
discontinuità. Ciò che pare proteso al perché è anche, subito, una più radicale
domanda.
Infine, non sono le cinque W a interessare questa ricerca. Questa poesia afferma
anzi che c’è altro da trovare: forse i modi in cui i contrari possano convivere
senza il dolore della contraddizione; i modi in cui io e non io, una cosa e
un’altra, qui e altrove, ora e ieri, una ragione e la sua opposta possano stare
nello stesso luogo, accolti nel medesimo giro d’occhi, senza turbamento. Anche
per questo nella stessa poesia trovano posto gli inconciliabili del lessico:
«schifo» e «bellezza», «pisciare» e «germogli» (in Se proprio Dio e in L’altra
faccia); e convivono i segni di una tensione (formale, strutturale, metrica) fra
apertura e chiusura: in W la Revoluçion l’ultimo verso di strofe coincide per
esempio con l’inizio di un nuovo tratto sintattico, così che mentre una voce
annuncia l’intervallo l’altra lo neghi. Bisogna infatti imparare a vedere,
insieme, ciò che c’è e ciò che non c’è, ciò che si vede e ciò che è invisibile,
l’ovvio e l’assurdo. E’ questa, forse, la chiave
del titolo Mistici: la possibilità di fondere ciò che deve
restare separato, il sogno di unire i contrari, di vedere nel dato concreto e
misurato dell’esperienza la dismisura di un’interezza. «Possono esserci angeli,
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in questa stanza, come diavoli» (Calcolo). La stessa lunga prosa conclusiva sui
dogmi evangelici è una riflessione dolorosa sull’impossibilità di una cosa che
dovrebbe essere vera.
Per essere una sfida di conoscenza e non un movimento regressivo e
consolatorio, questo sogno ha dovuto fare i conti con l’esperienza della
frantumazione come condizione di insensatezza, ha dovuto vedere la discontinuità
senza redenzione, ha vissuto l’esperienza dell’epifania senza luce di
universalità: dal punto di vista della poetica, e storicizzando, il sogno della
tradizione simbolistica ha conosciuto la deprivazione imposta dall’assurdo, cioè
dal moderno: dal rigore del sapere configurato quale assurdo. La scrittura di
Erminia Passannanti è dunque uno dei casi non frequenti in
cui valga la pretesa della ricomposizione
del senso pure nella
consapevolezza della sua impossibilità: di nuovo una pretesa (mistica in senso
figurale) di compresenza dei contrari. Con le sue parole, cioè, la «speranza | di
coesione tra sabbia e cemento» (Casa di poesia).
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Recensione |
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