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Il
giardiniere, impazzito ha visto la luce dopo nove mesi, l'esatto tempo di une gestazione femminile, da
Il volto della memoria (Edizioni
Scettro del Re, Roma) del luglio duemila. È quindi normale, che le nuova
raccolta, prolunghi e accentui alcune delle linee di tendenza che, non solo in
questa penultima appena citata, ma già nella successione delle precedenti
sillogi si erano evidenziate. Innanzitutto il piglio duro,robusto, essenziale,
persino aspro, con il quale l'autore affronta le dinamica dell'esistere in una
accentuata diacronia di malessere. La dizione si fa arringante, la connessione
sintattica rigorosa, ma. più per rappresentare che per persuadere, come era
negli itinerari ascetici e mistici del primo medioevo, e non manca l'innesto di
elementi prosodici di ampio respiro.
“Volevo parlare della pazzia che da sempre sconvolge il nostro
giardino, confesserà qualche mese dopo l'uscita del volume ad un amico, ora che
la pazzia è esplosa in tutta la sua tragicità”.
Non c'è modo migliore di accostarsi a un'opera, di poesia, che
partire da una confessione del suo autore, il quale fornisce subito e autentica
il tono del libro e sembra riassumerne la cadenza dell’itinerario. La sua
visione della realtà è pacifista anche se riconosce l’aleatorietà dell'ipotesi
positiva – annota Liana De Luca nell'intensa prefazione – e Dio è una figura
della sua mitologia, anzi la figure fondamentale dalla quale si irraggiano luci
– ombre delle cose del mondo e della cose ultime.
Ad un primo impatto pare debba trattarsi del Dio dell'Antico
Testamento che ha sì creato l'uomo dotandolo del loro arbitrio, ma
interamente fiducioso nel proprio istinto e nelle proprie capacità non sempre
razionali. Un Dio severo, ancora offeso dall'antica caduta dell'uomo, malgrado
la sua assoluta necessità nelle sfida tragica dell'uomo stesso contro il male.
Ma una impressione erronea, perché sullo sfondo vi è il
Redentore, magari dietro il filo spinato di un campo di concentramento:
“Gesù di Nazareth
cominciò nell’agonia
bagnata d'aceto e sangue
la gloria del tuo viaggio
la fine di ogni prigionia.”
Da qui nasce il tragico cristiano, come sottolinea S. Gros-Pietro
nella bandella della quarta di copertina, “che così stupendamente Giovanni
Chiellino rappresenta nei versi, allacciando 1a sua poesia al mondo epico
precedente la rivelazione stessa del giardino “.
Una poesia, dunque, che rischia, a momenti l'implosione per
troppa volontà di dire, pure esente da ogni strutturalismo, e che tende ad
evidenziare il teso rapporto tra riscatto cristiano e storia; altrettanto
ammirevole per la sapienza deIla, costruzione, per l'intensità e il controllo
stilistíco raggiunti, per gli ampi orizzonti tematici e concettuali , mai
teologici ma prettamente conoscitivi che ripropone nella continuità di una
ricerca inesausta.
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Recensione |
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