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«Uno l'oggetto del libro: la "verticalità" di Ungaretti
(l'immagine è di Umberto Saba), la sua incessante ricerca spirituale e
religiosa, spesso emarginata o rimossa dagli studiosi. Due gli interpreti:
ciascuno nella piena autonomia del proprio temperamento, della propria ottica,
del proprio stile. Molti, e convergenti, i livelli interpretativi, le
direzioni di approccio, i riscontri puntuali, le proposte di lettura, i
lieviti polemici. Ne risulta un libro complesso e unitario ».
Queste informazioni, suggerite dalla quarta di copertina,
rispondono a verità. Si potrebbe aggiungere che si tratta di uno dei libri più
importanti apparsi su Ungaretti in questi ultimi anni, in una prospettiva di
revisione di luoghi comuni, quanto mai opportuna, anzi addirittura necessaria
nell'attuale contesto, scarsamente dialettico, della critica letteraria. Quali
i pregiudizi correnti, gli idola scholae più contestati? Da una parte, il
ritorno a un ideologismo che, sulla linea di Franco Fortini, riconosce
legittimità solo a una poesia di cose e di eventi esterni, significativi solo
se rilevanti in una prospettiva socio-politica, censurando o rimovendo ogni
tensione metafisica e religiosa. Dall'altra, una critica formalistica
derivata dallo strutturalismo con influssi della psicanalisi lacaniana, che
sembra disinteressarsi al cosiddetto `significato'. Per il primo indirizzo la
sola stagione che abbia valore positivo e motivato interesse è L'allegria,
dove si coglie l'hic et nunc della contingenza temporale e storica.
Sentimento del Tempo e La Terra promessa, con la tendenza idealizzante e il
ricorso al mito, rappresenterebbero fasi involutive. Resta in ombra o ai
margini uno dei momenti più alti e intensi della poesia del Novecento
italiano: la seconda parte di Sentimento del Tempo, costituita dagli Inni e
dalla Morte meditata. Né, d'altra parte, gli interpreti formalisti, che pure
apprezzano il secondo Ungaretti, prestano attenzione, esaminando queste
sezioni, al rilievo della tensione metafisica, "verticale", impegnati come
sono in una ricognizione tutta "orizzontale" nel macrotesto ungarettiano e nel
contesto culturale e letterario, in cerca di riscontri spesso puramente
verbali.
Il libro si apre con un'ampia panoramica intesa a indagare
sul complesso ma ineludibile rapporto di poesia e vita (Preludio:
l'opera-vita e Ungaretti). Nel secondo capitolo, vivacemente polemico, campo
libero alla pars destruens: una serrata disamina, attraverso esempi puntuali,
mette in luce i probabili fraintendimenti prodotti dall'impostazione astratta
e preconcetta di letture di diverso orientamento (peraltro prima d'ora non sottoposte a un vero e
proprio confronto neppure in occasioni ufficiali di bilancio della fortuna
critica del nostro poeta). Presenze e segni del sacro rileva la tensione
metafisica, l'insistente domanda a un cielo che non risponde, l'ansia di
un'innocenza al di là «del barbaglio della promiscuità» già evidenti nella
fase dell'Allegria. Si rivendica così, contro certi superficiali giudizi di
incoerenza e frammentarietà espressi nei confronti di Vita d'un uomo, la
sostanziale organicità del macrotesto. Organicità confermata nel capitolo
L'«uomo della pace» dove, trascendendo la dimensione storica e contingente,
la pace è intesa come «assoluta `misura', totale `armonia'», sogno di un
«patto »tra l'uomo e Dio (una testimonianza dello stesso poeta, collegando
L'Allegria e Il Dolore, associa la «pace» come fratellanza che si oppone alla
guerra, alla «misura incredibile» che l'uomo può intravedere quasi
misticamente nel «roseo, improvviso...segno» della «Genitrice mente»).
La poesia Alla noia, dalla prima parte di Sentimento (che
lo stesso autore ha definito «parte erotica» distinguendola dalla seconda
parte «santa»), offre l'occasione, nel capitolo intitolato Noia: elusione,
vizio, accidia?, per risalire all'idea petrarchesca di accidia, certamente
presente al fervido lettore e interprete del Secretum. La «noia» sarebbe,
come l'accidia, «ristagno in uno stato effimero e oscillante, in un'illusione
fuori dell'Essere, del `sogno fermo'»; corrisponderebbe dunque a quella
«elusione» (elusione del sacro) che, già prima della cosiddetta «conversione
del '28 », il poeta denunciava concludendo che« l'arte, confinata dopo
Petrarca, non rimanendole che avventure umane, s'è data al vizio».
Dopo una Breve sosta nell'area degli Inni, per un contatto
più diretto, attraverso l'esame della poesia Dannazione, con l'ascetismo
radicale di questa fase spirituale e poetica, è l'incontro con Blake
(Ungaretti e Blake: un incontro di destino) che si presta a uno studio inteso
a individuare, per la prima volta, le ragioni di una lunga frequentazione più
ancora che in un interesse letterario in una solidarietà, non occasionale ma
organica, di interessi spirituali, concentrati, ancora una volta, sul tema del
rapporto Natura-Spirito, Tempo-Eternità. Nel capitolo Un `macrotesto': un
microcosmo? l'esame, condotto con criteri spitzeriani e semiologici, di tre
versi (una sequenza di Giorno dopo giorno dal Dolore) vuoi cogliere
l'affiorare timido e trepido di quella speranza cristiana che proprio nella
religiosità umanistica di questa raccolta, trova la sua più consistente
espressione.
Nel capitolo seguente, I volti del barocco, il riferimento
ai diversi referenti letterari, dall'ascetico Pascal al voluttuoso Marino,
offre un ricco ventaglio di prospettive tutte interne al multiforme concetto
di barocco e tutte sperimentate nella complessa e inquieta ricerca spirituale
di Ungaretti.
Dopo una sosta sulla particolare e
rivelatrice esperienza del barocco romano (Il barocco e Roma), il libro si
chiude con una rassegna polemica che, sotto il titolo ironico Il buon Dio si
nasconde nei particolari, spigola vari campioni di presunti errori
interpretativi, interessanti in quanto non sviste occasionali ma conseguenza
di discutibili impostazioni metodologiche. | |
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Recensione |
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