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Variazioni sul tema
“una stagione
improvvisa
ha cambiato il
nostro mondo”
Margaret Avison
A volte di un poeta, soprattutto di una sua antologia, sono importanti le
citazioni poste in calce, esse fanno da spia per il lettore, vogliono farlo
senza disturbare, lasciare dunque briciole di senso, lasciti di una via per chi
è chiamato a rintracciarne il filo che li collega. Il cammino della vita di
Paolo Ruffilli fa tutto ciò. Evidentemente lo fa. Fin dal titolo : Variazioni
sul tema. (della vita, appunto) e fin dalla citazione iniziale da Mandel'stam :
“Qual'è il tuo tema, / la tua chiave preferita?”- “La vita, la vita...”. La vita
dunque, certo, con accanto la sua ombra, non la morte come parrebbe ovvio, ma la
paura : «Testa, se fa sul serio. / Se mi vorrà per sempre. / Croce,se è solo un
gioco / che finirà».
L'amore, l'attrazione, la dipartita, il ritorno tra le braccia, il dubbio,
l'assenza, che, citando Benjamin, è “la massima presenza”, sono materia da
sempre inesauribile della vita e il poeta non si sottrae a tale abbraccio con
Cupido. Che si mostra e viene raccontato anche nei suoi tratti familiari,
ibridi, parentali mirabilmente da Ruffilli nei versi de la “Camera Oscura”. Qui
d'impeto aleggia sottile la memoria. Una memoria dipanata talmente da mostrarsi
nei versi “chiara e distinta” da un lato, però con il suo retro, la camera
oscura, appunto titolo peraltro di una importante – come anzidetto - raccolta
del poeta. Proprio da questo racconto familiare prendono le mosse diverse
riflessioni su fogli d'album, diremmo alla Schumann, ove si avverte il passo
lieve di una Romagna sommessa, il senso basso e piano della Romagna di Marino
Moretti e terra madre di Ruffilli. Ma come sfuggire alla presa che Boell, il
Boell di "foto di gruppo con signora", esercita su queste confessioni di
formazione in-finita?, il Boell anarcoide de "opinioni di un clown" che rema
dentro il mare duro delle ideologie con la carne ardente della sua critica di
cattolico dissidente, di coscienza inquieta, di memoria insicura del tempo
precedente? Non è possibile, fa parte del peregrinare ruffilliano tra le
pieghe/piaghe della cultura europea e universale.
Il tappeto dei sensi e dello spirito viene srotolato secondo la forma della
confessione delicata, attraente, parsimoniosa, a volte dissacrante, celata e mai
del tutto svelata, eppure lo stile è quello, completamente avvolto da una forma
preraffaelita che è una delle maschere del poeta. Ruffilli non è moderno, di più
è ultramoderno attingendo alla tradizione con mano sicura. Di più. Si avvina al
garbo di Cristina Rossetti e del fratello Dante Gabriel muovendosi tra cielo e
terra tra il teologico e l'amoroso senza soluzione di continuità. Accanto al
grande scrittore tedesco non è evitabile affiancare la “camera oscura” di
Proust, la camera dove scriveva e aveva paura di vivere. Di dire e non dire e
riportiamo versi di Paolo Ruffilli : «...c'è un odore di torte e di
biscotti / sulla strada del passeggio.» e ancora : «E', forse, morto / quel
passato? / O si nasconde fuori / del suo campo, / in un oggetto fermo / e
distaccato... / Il pezzo di focaccia / inzuppato nella / tazza, quel / sapore
ritrovato / all'improvviso / ...». Più esplicito di così...ma il tempo di Ruffilli
non è realmente ritrovato, è semplicemente quanto nuovamente visto dentro la
camera oscura del negativo, dove molto se non tutto è sfumato, incerto pur nella
rigorosità "scientifica" del verso. In questa dialettica duale tra rigore e
sfumatura sta il senso della camera oscura, la dialettica hegeliana del
negativo, che rovescia il positivo astratto nella negazione concreta definita
dal filosofo di Stoccarda “l'immane potenza del negativo”, la lotta
inestricabile della sostanza che si fa soggetto. Ma un negativo che nella sua
(di Ruffilli) poesia non si risolve mai in una “sintesi”, rimane dualità aperta
gioco e mistero della vita non però oppositivo come Pascal o Kierkegaard, ovvero
nel senso di un aut aut ma e ed e , ove il tempo appare un'antica versione quasi
taoista dell'incostanza della via come è scritto nella apertura del Tao....
Eppoi torna l'origine, e ,stando alla Romagna, senza sociologismi di facile uso
e consumo, la dualità ritorna tra campagna e borghesia, tra socialismo e
cattolicesimo papalino, anticonformismo e vivere geniale di una provincia che si
crede ed è a volte centro... centro lo è l'amore, l'amore verso la madre e
l'amore della madre, vicinanza e distanza, : «è inutile / perché non vuol
capire / quello di una madre / è l'unico a non finire», sopportabile
intollerabile, unico, eterno, eppure ricerca dell'altra in una "piccola
colazione" dei sensi, per un uomo, un poeta che resta di terra pur guardando il
mare. Un uomo che si è formato tra gli anni Sessanta e Settanta, nel fuoco
dunque "della controversia" per dirla con Luzi. Tra “passione e ideologia” non
c'è dubbio : Ruffilli ha scelto la passione. Seppure con quel tocco minimalista
che ha il gatto di solcare il suolo, quel suo realismo magico che sempre
sorprende : « (Morbido flessuoso solo / tenero lesto e quatto. / Non c'è niente e
nessuno / che mi faccia tenerezza / più di un gatto)». Ma non per senso di
superiorità, quanto per inalienabile debolezza, timore e tremore del troppo
certo, della totalità sia essa sociale che intima, stupore nel non trovare che
rarissimamente chi abbia una missione nella vita, e diffidenza. Diffidenza verso
la stessa natura umana (che è un ossimoro, no?!) : «Ha la natura umana / una
tendenza : / il segreto bisogno / di sollevarsi in alto / distaccandosi dal suolo
/ per
tornare in possesso / di qualcosa / che le sia stato tolto...» poiché l'alto copre
quel senso del guasto delle cose, il gusto di un melone assaggiato sulla riva
del mare, l'odore marcio del mare stesso , di foglie andate, di sensi fecondi :
«Passa la forma. / Muore. Si dissolve / e per sempre ci scompare. E' la materia
dicono, / che scorrendo resta...». Ruffilli non è che di rado un paesaggista,
quanto un anatomopatologo delle passioni umane e del loro contesto ambientale e
naturale. Viaggiatore certo, ma la sua materia è fatta dall'incerto minimo
passaggio tra vita e sogno, quel rovesciare la clessidra dell'uno nell'altra e
dell'altra nell'uno senza mai indicare ove sia il limite, il confine, anzi al
contrario mescolandolo sempre, come in una inesauribile “piccola colazione” lo
zucchero nell'amaro con una sola strana certezza : «La certezza / di non aver più
fedi / è in quel trovarsi / volentieri, una mattina / indifferenti a tutto.». Cinico
il poeta? No, è la distanza che tiene minima tra la cosa e il simbolo della cosa
imparata dal vivo da Lacan. Poiché la parola simbolica uccide la cosa. E' la sua
assassina. E le cose, gli oggetti che pure noi siamo, quelle nature morte, o
quelle vite ferme traducendo dall'inglese, descritte nel penultimo volume di
poesie dell'Autore, sono i soli numi tutelari del nostro appena essere, della
nostra ventilata quanto poderosa esistenza. E l'esistenza è , per il nostro
poeta, mescolanza, dimensione ibrida per eccellenza.
Mescere. Mescolare è il segreto impenetrabile di Ruffilli. Mescolare i generi,
il buffo, il serio, il tragico, il comico, il sublime e il miserrimo senza dare
mai l'impressione di farlo davvero dentro un teatrale senso della vita come in
un romanzo o in una sentenza di Confucio per guardare tuffandosi nel mondo dopo
cauta mirata attesa. «Attendo sveglio il mondo / nel momento / del suo stare più
deserto / per spiarlo meglio / a cielo aperto / in ogni suo girone / di miseria e
splendore / (…) che si è offerto di darmi / intanto, bontà sua,
/ in concessione / da
provare alternati / nel piacere e nel dolore».
Accanto al primato dello sguardo si pone in Ruffilli il primato della parola
sull'azione. Non certamente per disdegno ascetico. Anzi. L'agire è presente
nell'arte del nostro , ma tra San Giovanni e il Faust di Goethe, il poeta
trevigiano sceglie il primo. Tra “in principio era il logos” e “in principio era
l'azione” non v'è dubbio : in principio era la parola. Lo ribadiscono a chiare
lettere i seguenti versi : «La parola per me / veniva da distante. / Quasi un a
priori / L'avvertivo...». E lo avvertiamo anche noi in questa conclusione che ci
porta al culmine del tragitto poetico di Ruffilli ove la parola è l'immagine”
pigra e lenta” dello scatto della vita.
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Recensione |
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