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Senz'alfabeto
Il testo mi ha subito presentato una poesia forte, potente, fatta di terra e di sangue, una poesia in cui l’autrice ha voluto instillare l’esperienza stessa di un mondo che si mostra spesso nel suo lato più crudo e violento. Significativo, in questo senso, il trittico di “Ghiotte primizie”, “Foia letale” e “Il fiato e il fiuto”, sanguigne visioni i cui protagonisti sono animali predatori e predati; segue l’agghiacciante e improvviso apparire della morte negli occhi vuoti e sbarrati di un cadavere felino (“La sorpresa”.
Non mancano versi dedicati alla rappresentazione carnale dell’amore, lucrezianamente inteso come pura sessualità e mero istinto di conservazione (“Corpo a corpo”, “Seme flebile d’eterno”) o come metafora della forza vivificante e al contempo inquietante della natura (“Orgasmica litania”). Anna Maria, tuttavia, non ci abbandona mai nelle viscere del sottosuolo, nella dimensione ctonia e ancestrale degli istinti animali (amore-morte). La poetessa sa sempre quando innalzarsi verso sfere più aeree e lucenti, direi quasi ossigenate, e lo fa proponendo delicate trasfigurazioni di gesti quotidiani (il dono di una caramella in “L’offertorio”, o la rappresentazione luminosa di una mattutina elaborazione poetica in “Il nido del sole”). Immancabile, ovviamente, l’ambientazione fiorentina, da cui Anna Maria trae forse quell’accattivante ermetismo con il quale lusinga il lettore e lo invita al gioco delle interpretazioni. Sempre parlando di ermetismo mi chiedo (ma è solo un’idea personale) se certe riprese ritmiche e sintattiche non strizzino l’occhio a Quasimodo (in “Frullo titubante” gli ultimi due versi, “pigola il sole / un frullo titubante”, sembrano richiamare il famoso “ride la gazza, nera sugli aranci”) e, più in generale, a un certo Montale di cui si recupera il gusto per gli animali, soprattutto per gli uccelli (la raccolta è popolata di civette, beccaccini, gazze, poiane, falchi pellegrini, balestrucci e altre creature alate…). Il colto substrato di questa poesia rimanda anche ad altre fonti (il ripetersi martellante di “batte” nell’ipnotico “Fielemiele” ci ricorda il “Batte botte” campaniano), alcune delle quali costituiscono i capisaldi della nostra tradizione nazionale (le due fanciulle di “Fiocco senza nodo”, una piccola e delicata, l’altra bruna e sensuale, evocano ricordi pascoliani di digitali purpuree). Sempre presenti – e come potrebbero non esserlo? – gli ormai famosi incastri lessicali, che tra un “c(r)uore”, uno “sf(r)inisce” e un “traf(r)ugato” potenziano e moltiplicano ulteriormente la mille sfaccettature di una già ricca e variegata parola poetica.
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Recensione |
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