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Postfazione a
Ai piedi del faro
di Maria Lenti
la Scheda
del libro

Gualtiero De Santi
Ancora
50/60 anni fa si poteva immaginare che l’arte, nel cercare la profondità,
incontrasse nuove ispirazioni. L’eludersi e il frammentarsi della realtà
sembrava in prospettiva ricomporsi in una dimensione prima, che soprattutto la
poesia ha inseguito e ha anche creduto di raggiungere. Quella profondità rimane
però ancor oggi tutta da scoprire, ma con essa anche la vita, nostra e di tutti.
E allora come oggi, il problema è che quella consistenza delle cose all’intorno
come delle persone venga percepita e pensata nel loro reciproco rapporto, come
hanno insegnato i maestri del ‘900.
La
scrittura è uno degli strumenti che possiamo impiegare, giacché in essa, come
mostrano i versi di Maria Lenti, vengono messi in causa corpo e mente. Questo
con forme e piani definiti, e con l’ingaggio di strutture, materiali espressivi,
identità e differenze che competono, nel nostro caso, al lato sperimentale
dell’autrice urbinate, che non contrasta tuttavia con il coinvolgimento della
biografia e di esperienze che perforino la pelle delle cose anche le più
empiriche, cogliendone i segni e modulandoli nell’instabilità.
Di qui un
libro aperto che è però anche segreto e clandestino. Un frutto coltivato
nell’ombra, o al chiuso della propria biografia, alimentato dalla tenerezza,
dalla memoria; stimolato dalla coscienza di una realtà difficile e problematica
e dalla esiguità di strutture non destinate a durare. Un libro che è
testimonianza ma anche vissuto reale, una sorta di aveu scritto ai piedi
di un faro in cui non c’è luce ma dove ancora sia possibile, anzi necessario,
ricompitare l’esistenza attraverso sempre nuovi percorsi di senso.
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