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Attraverso Il Lazzaretto di Dio, di Veniero Scarselli, è stato facile per noi rilevare quanto in parte ci unisce e in parte ci divide da questo affascinante Autore. Ci unisce, certamente, l'amore per la poesia narrativa. Tutti i poemi di Scarselli sono poesia narrativa, racchiusi ora in un volume di oltre quattrocento pagine nella loro versione più recente. E poesia narrativa è in gran parte anche la nostra. A partire da Scaldapanche, a To erase, please?, ad Alpomo, al recente Resurrectio. Ma poemetti sono da considerarsi pure 12 mesi con la ragazza e La morie e il Sud... Ci divide, invece, la ...vocazione del perfezionista! Quella di Scarselli è quasi maniacale. Noi, al contrario, una volta pubblicata, all'opera non diamo più nessuno sguardo (non amiamo rileggerci!), e non perché crediamo di aver scritto un capolavoro ulteriormente non emendabile, ma per paura di... ulteriormente abbruttirlo, con conseguente tentazione, poi, di buttarlo definitivamente nel cestino, di distruggerlo; insomma.

Scarselli, le proprie opere le legge e rilegge fino alla nausea e, ogni volta, scopre in esse qualcosa che non va, provando quasi vergogna per "una parola, un verso, una lassa"... Eccolo, allora, a "limare e limare", in un processo di revisione continuo, eterno, sicché l'opera, per lui, non giunge mai ad essere definitiva. Una vera e propria paranoia, della quale egli stesso è consapevole. Pertanto, alla domanda che si pone al termine della nota sullo "sventurato perfezionista", sentiamo di rispondergli: "La smetta di leggersi e di mirare alta perfezione assoluta. Noi tutti siamo mortali, nessuno di noi è perfetto e imperfette sono tutte le nostre cose. Perfetto è solamente Dio". Si, quel Dio che lui spesso sembra bistrattare, che confonde con la Natura, ma che è presente, radicato nel suo cuore. Un lucido pensatore come lui non combatte con un fantasma...

Ma è sicuro, poi, l'amico Scarselli, che l'ultima sua versione sia migliore della prima? Ci sovviene di un altro nostro amico perfezionista: Ceppo Tedeschi, il quale ci confessava di trascorrere, a volte, settimane e mesi alla ricerca di un solo aggettivo, di un solo sostantivo, di un solo verbo, di una sola espressione che rendessero pienamente l'immagine che gli occupava la mente. Negli ultimi anni, Tedeschi è arrivato, addirittura, a non leggere più altro poeta se non se stesso ("per non inquinarmi", ci diceva), col risultato di rovinare (a nostro avviso, ma basta confrontare due versioni: la prima degli anni 1951/1952 e l'ultima, pubblicata dalle Edizioni Bresciane nel 1992) un'opera straordinaria, affascinante come le Trenta liriche epigrafiche, che aveva incantato molti, tra cui il grande Lipparini. Noi ignoriamo le varie versioni delle opere di Veniero Scarselli e non possiamo, perciò, fare confronti leviamo dalla lettura de Il Lazzaretto di Dio che si tratta di opere eccellenti, che ognuna di esse è "straordinaria avventura", con mari, notti, stelle, cieli, pieni di "ombre e di echi di abissi" , e velieri misteriosi – o vele comunque. Mare, mare, mare, con tutti i suoi attributi e le sue infinite metafore, le sue bellezze e le sue orridezze; mari metafisici e mari reali, il mare della vita e l'oceano dell'utero materno nel quale vive acquattata come un anfibio la creatura prima di venire al mondo.

Insieme al mare, nei poemi di Scarselli a signoreggiare è anche la morte. Essa insidia l'essere fin dal suo concepimento, giacché morte non è soltanto la sua nascita, l'espulsione dolorosa e drammatica dall'utero materno, ma anche l'atto amoroso e violento dell'uomo e della donna che partecipano alla creazione della vita.

Straordinarie avventure. In Isole e vele, come in Ballata del vecchio capitano, – ma, per certi aspetti, anche nello Straordinario accaduto a un ordinario collezionista di orologi, eccetera –, c'è sembrato di immergerci in trarne alla Emilio Salgari, che tanto ci hanno affascinato nell'infanzia Nelle tante esplorazioni della morte, ci siamo sentiti irretire dal groviglio satirico, grottesco, filosofico, fantastico, realistico, naturalistico; dalle tante discese a picco nei tenebrosi abissi del dubbio e dalle altrettante improvvise emersioni nella luce, verso un Dio che solo all'apparenza è assente e crudele.

I poemi di Scarselli sono viaggi fantastici e reali, che iniziano e terminano nel mistero, con richiami continui alla vita e alla morte, al mondo ultraterreno, passando sempre attraverso flash o veri e propri racconti, per esempio, di gente ritornata in vita dopo un coma, o di rimandi a favole come quel "qualcuno" che "al lume d'una piccola candela | vegliava un penoso segreto" (c'è Allan Yoe, ma non par di vedere pure Geppetto nel ventre della balena?). E il "vecchio capitano" non ha qualcosa del "testtmone" di Isole e vele, "che approssimandosi l'ora della morte/chiede almeno la pietà d'un ricordo"? Anzi, un bel momento, in quest'opera, lo si incontra proprio il "vecchio capitano", nel suo "sepolcro ancora inviolato". E in Scarselli non è nave anche la casa? ("si erge sulla vetta | come un albero, uno scoglio, una nave | nella tempesta..."). E di richiami da un poema all'altro ne abbiamo incontrati tanti, perché, in realtà, tutta l'opera di Veniero Scarselli è un viaggio circolare intorno alla vita e ai suoi misteri, ai tanti suoi perché rimasti da sempre – e che per sempre rimarranno – senza una vera, ultima, risposta.

Recensione
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