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Il sandalo di NefertariIn genere, Rossano Onano ci fa penare prima di farci entrare nel suo mondo e nelle sue storie, spesso allucinate; ne Il sandalo di Nefertari, l'incipit è stranamente chiaro, cantante, quasi ballabile: Mi dai notizia della
migrazione, della fuga Di primo acchito, ci verrebbe da esclamare: Che bello! Finalmente leggeremo, di Onano, una storia lineare e fascinosa.
Proseguiamo, allora, nella lettura con cautela. Nefertari dorme il suo sonno eterno che sarà “lungo, senza abbagli”. L'afflitto Ramesse le cuce i sandali per l'Oltre tomba “a filo d'oro” e poi glieli calza. La storia sembra annunciarsi meravigliosa, anche se nostalgica, dolorosa. Ma ecco il trabocchetto. La vicenda Nefertari è finita e subito veniamo avvolti dal turbine di immagini di grande impatto sociale – come altre volte abbiamo scritto -, spesso sarcastiche, di un quotidiano crudo; niente favole, ma quadri a volte dolenti e surreali da rasentare quelli di Brutti sporchi e cattivi di Ettore Scola, interpretati da Nino Manfredi. Una socialità profondamente sentita dall'autore, ma mascherata dall'ironia e, perciò, fatta nostra solo dopo più di una lettura; immagini e scene quotidiane – a leggere le cronache -, vere e a volte crudeli e folli, taglienti come rasoi, sibilline. Il contadino (è la nostra interpretazione e non assicuriamo sia quella giusta) rapinato (possiamo dirlo?) dal notaio che incassa una lauta prebenda senza il rilascio di “una qualche minuta / detrazione fiscale”. La terra non produce e così il povero coltivatore “a rischio di precipizio d'usura” è costretto a pagare in natura con “l'ultimo / vitello grasso, la speranza, le concubine”. Il sesso con la minorenne – stuprata o consenziente che sia (“Lieve, solleva la gonna sul cuore / la bambina che ha colto le margherite”) - dell'uomo solitario che la ricompenserà con “una bambola, la caramella d'anice, il cellulare”. La partita di calcio in simmetria con la partita della vita, con tanto di “arbitro cornuto” e giocatori che, invece di attenersi agli schemi studiati dall'allenatore, ne corrompono “la geometria”. Il sesso telefonico – praticato sia dagli uomini che dalle donne: i primi, “scegliendo nomi femminili in qualche modo rassicuranti / come Maria Marta Concetta” e, le seconde, “nomi maschili di pratica testamentaria / come Marco Matteo Luca” - e il gioco sui doppi e tripli sensi. Son tutti, infatti, nomi che riportano alla religione e ai Vangeli, compresi Gabriella (l'arcangelo Gabriele) e Giovanni, e “pratica testamentaria” allude ai tanti casi di cronaca di soggetti deboli che si fanno facilmente accalappiare e che, prima di morire, vengono indotti a fare testamento a favore di questi lestofanti dell'amore online. I doppi sensi che rimandano alla religione sono tanti (“arca dell'alleanza”, “quaglie / e manna”, “un santo cattolico e per giunta apostolico”, “trenta denari” eccetera) e in “una muchacha morena”, per esempio, l'incipit “Avendo digiunato quaranta giorni” ci riporta al Gesù dei Vangeli, ma tutto il resto non è certo edificante, compresa la fornaia dalla “lasca / occhiata” e dal “cupo sorriso”. L'ipermercato, frequentato dai vecchietti “con applicazione accanita”, anche in cerca di incontri e...dell' “ultima disperazione”. Potremmo continuare a lungo con le immagini, perché Onano è un cronista che canzona e sberleffa tutti, del presente (certi maniaci del PIL, per esempio, i vegani, il “famoso critico” d'arte di passaggio per Reggio Emilia) e del passato (Giulio II, Laura e Petrarca, la sposa del soldato “partito in guerra” che giace “nel lettone col dottore / che guarisce il suo dolore”; il figlioletto del povero soldato dorme lì accanto, prima cullato dalla madre - “Fai la ninna fai la nanna” -, mentre il poeta ci ricorda il titolo di una canzone di Lucio Dalla, “Attenti al lupo: “a vegliarti fiero e cupo / nella notte viene il lupo”...). E Nefertari? Sparita fin dall'inizio, come abbiamo scritto. Siccome, però, nella poesia di Onano non manca il sogno, e siccome anche a noi piacciono ironia e paradosso, confondiamo l'ultima storia ed i soggetti, e, mentre chiudiamo il libro, ce la immaginiamo viva e in partenza col suo Ramesse: “Dalla strada un rumore terrestre come di cocchio / tratto da cavalli, cortesi, e intorno tanto silenzio”. |
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