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Poesie controcorrente e racconti in versi
La sfida d’un annunciato
anticonformismo letterario lanciata a mo’ di guanto dal poeta di Pavia, Fabio
Dainotti, attraverso la pubblicazione dell’ulteriore sua silloge Poesie
controcorrente e racconti in versi, si basa su una scelta di versi le cui
ispirazioni verosimilmente hanno a che fare con un antico-non troppo antico, di
quando si stava oltrepassando la soglia della modernità e si appendevano negli
armadi le vecchie tradizioni, ripiegando nei cassetti le mentalità obsolete per
lasciare il posto, ad esempio, alle concezioni dei Futuristi, a quella che è
stata la sempre più emancipata figura femminile, all’uomo senza più gli orpelli
delle buone maniere e del suo borghesismo.
A conferma di ciò vi è anche l’immagine
della copertina dello stesso volumetto, riproducente una Signora con cappello
del pittore veneziano, morto a Parigi nel 1917, Federico Zandomeneghi, prima
macchiaiolo, poi, una volta in Francia col favoreggiamento di Edgar Degas,
influenzato alquanto dallo stile impressionista non dimenticò mai il verismo
pittorico da cui era partito per realizzare ritratti femminili di donne perbene.
Questo per dire che si avverte nelle poesie di Fabio Dainotti un’aria di
relativo Ottocento con tutti i possibili nessi e connessi fin dalla prima
lirica, allorquando si rinnovava quotidianamente una gradita visita, forse di un
innamorato che veniva a cavallo e di una lei in compagnia della madre, nella
casa considerata dalla madre non adatta nemmeno come stalla / per il cavallo del
tuo amico Fabio.
L’originalità dainottiana si riveste
del passato per essere apprezzata nel nostro presente privo di quelle premure
che hanno reso privilegiato il secolo del Romanticismo, dell’Impressionismo
francese, del Congresso di Vienna, del Risorgimento italiano con la spedizione
dei Mille di Garibaldi, a cui fece parte anche lo stesso giovane patriota
Zandomeneghi, prima di entrare a far parte della cerchia degli artisti del Caffè
di Michelangelo a Firenze, i cosiddetti Macchiaioli capeggiati da Giovanni
Fattori.
Così, senza accorgersene, s’intercetta
uno spaziotempo completamente diverso dal nostro attuale, che invita al sogno e
al distacco poesia dopo poesia, come in una passeggiata fuori del razionale. «La
littorina fermava / in un viale alberato di Milano; / era giugno, la luce
dilagava. // Vimercate: fermata in pieno centro, / tra un’edicola in fiore di
giornali / e il chiosco per la musica d’estate. // Le signore sfilavano eleganti /
con ombrellini al braccio. » (Pag. 29).
L’eleganza, innanzitutto, è stata una
delle massime prerogative di quel secolo ancora con le crinoline, ma già
Zandomeneghi, come anche l’altro importante pittore italiano trasferitosi a
Parigi, Giovanni Boldini, hanno ritratto bellissime donne con gli abiti più
lineari non più ingombranti pronte per entrare, ad esempio, nell’automobile – il
cui primo motore a scoppio risalirebbe al 1854 – proprio per una vita più
dinamica.
Di sicuro ci sono evidenti orme
autobiografiche tra questi versi, perché non mancano descrizioni di circostanze
fin troppo particolareggiate come quella volta di un lungo viaggio in treno, Da
un umile paesello del Bresciano, fino al paese di Padre Pio, «[…] su quella
linea ferroviaria scomoda, / lei donna, sola, negli anni Quaranta, / con quello
strazio in cuore che durava. // Però la ricompensa, infine, l’ebbe, / quando il
santo, guardandola negli occhi: / ‟Non preoccuparti”, le rispose, ‟è salvo”.
(Pag. 48).
Il poeta Dainotti si diverte a
mistificare i fatti inserendoli ogni tanto in qualche contesto di vita diverso,
come se Egli incorporasse due epoche lontane tra loro alfine di suscitare
positiva nostalgia, «[…] levità fluttuante di un tempo ritrovato, alla maniera
proustiana. La memoria involontaria del poeta interagisce con le immagini
limpide ed icastiche, correlate al vulnus esistenziale e a dilaceranti brandelli
di ricordi. Il sortilegio dell’immaginazione, nelle liriche di Fabio Dainotti, è
determinato dal sentimento dell’assenza e dal vuoto della mancanza, che va
‟oltre la coltre del silenzio”.» (Dalla Postfazione di Carlo Di Lieto, pag. 61).
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