Prefazione a
Ninna nanna della stella
di Ermellino Mazzoleni
Roberta Degl'Innocenti

Ninna nanna della stella,
ultimo recente lavoro poetico di Ermellino Mazzoleni, ci riporta nella sfera del
sogno e del mistero, nella storia e in qualcosa che affonda le radici nel nostro
pensiero, nella parte più intima, più vera, più sofferta.
Il mio approccio iniziale con questa
bellissima lauda ha avuto anche un risvolto emotivo tanto che, parlandone con
l’autore, mi sono espressa dicendo, forse, non ricordo i termini esatti, che
questa lauda era scritta con il suo sangue, con le sue vene, con il suo respiro,
certezza e sgomento.
Come una mano che
stringe la notte, si apre al risveglio, fa suo il mistero del giorno ed
abbraccia la vita.
Questa premessa,
prima di entrare nel merito della lauda, per dire quanto la poesia (e la
narrativa) di Ermellino Mazzoleni coinvolgano ed emozionino il lettore.
Gli eventi che
provocano la scrittura della lauda hanno un’ambientazione che si può benissimo
collocare nel nostro immaginario, o nella realtà, dati i frequenti riferimenti
(in questo caso), ai luoghi della Valle Imagna.
Ma si tratta,
appunto, solo di una casualità perché, come giustamente suggerisce l’autore, la
Natività non ha una precisa collocazione storica ma esula, supera i limiti di
una dimensione definita, vola oltre lo spazio e il tempo.
In questo momento,
per Ermellino e per noi attenti lettori, siamo in Valle Imagna.
Ci troviamo di fronte a un canto
polifonico: diversi sono infatti i personaggi che parlano attraverso le parole
del poeta e tutti hanno un’originalità, una trasparente freschezza, il guizzo,
l’invenzione.
“Parole come
saette”, ricordo il verso di un suo precedente libro di poesia.
Ermellino, però,
ha anche la dolcezza dell’erba che si piega al rumore del vento, gli occhi della
notte che si affacciano al limitare del bosco e ne conducono i respiri. In
questo suo immergersi nella natura vi è una sacralità perenne.
I versi che
introducono il Primo Angelo ci riportano alle Cà Quadre (tante volte ricordate e
delle quali ho io stessa avuto modo di parlare, in una recente presentazione
fiorentina, in merito ai libri “Nuvole e gli Dèi” e “Aspettami al
quinto punto cardinale”).
Adesso siamo nel
duemila settimo anno del Signore e le “parole di brina e luna” sono
quella carezza che accompagna ed esalta come una musica strana, come il
gorgheggio dell’usignolo fra le bacche d’agrifoglio.
Il Primo Angelo è
il testimone del tempo, è memoria, nostalgia remota. É uomo e divinità.
Ha lo sguardo alle
Veneri dal seno di luna e l’urlo della guerra. Rappresenta la storia in tutte le
sue contraddizioni: è giglio o rosa.
Il personaggio di
Giacoma, che incontriamo subito dopo il Primo Angelo, ha una sua identità
complessa e semplicissima (come gli opposti nella poetica di Ermellino: una
commistione tra forza e dolcezza).
Giacoma che abita
al Pertüs (o Pertugio), un passo della Valle Imagna: nella valle potente delle
contrade e dei pastori con i figli “rastrellati” fra i ghiaioni della
Serada (il ghiaione mi ricorda lo struggente Ghèlmo in “Nuvole e gli
Dèi”).
Nella lirica ritrovo anche l’uso
ricorrente, particolare in Ermellino, della simbologia del numero tre, presente
in varie espressioni. Questa donna, con la quale l’autore
identifica la Madonna è, o meglio sono, tutte le creature divine, sono “i
prati di crochi alle cascine” o “la stella del mattino”, il
respiro, l’afflato che conduce la vita. Giacoma, come dicevo prima, è una figura
complessa perché è donna di pascolo e di cielo, quando le sue parole si
trasformano in serenata rifulge Madonna di tutti gli esseri.
La Ninna Nanna, che il poeta trascrive
dai canti popolari bergamaschi e della quale mi ha fornito la traduzione, è di
una dolcezza infinita, si perde nel tempo, ha il suono ripetuto delle cantilene
dei vecchi.
É verbo e respiro: è come un suono
avvertito nell’infanzia e rimasto dentro come in uno scrigno.
Ci sono anche delle formidabili
intuizioni:
La Madóna la si sbassava,
La fontana la si alsava.
Oppure, proseguendo il percorso della
lauda, la Colomba che naviga novantanove fiumi e novantanove cieli ed ha per
compagni un cane pastore cieco e un tordo dalle ali spezzate. La Colomba: l’Avvento, l’attesa,
Betlehem, città benedetta.
I versi successivi, sto seguendo
idealmente il percorso del poeta, rappresentano l’incontro dell’Arcangelo
Gabriele con Maria e l’Annunciazione della maternità. Sorprendono, sempre, le invenzioni di
Ermellino, nel corso di una rapita lettura: “la gioia mi arde come sabbia /
nel deserto, mi tarla la paura”.
Tutto in questa lauda è interesse,
storia e novità, originale interpretazione. Il Vecchio, ad esempio, che ha respirato
cento e cento anni nella sua contrada della Vecchia Dogana. La Vecchia Dogana
viene identificata dall’autore a Costa, un paese della Valle Imagna dove un
tempo esisteva la Dogana fra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano,
oppure la Neve che germoglia il silenzio: è innocenza, pudore, sospiro del
tempo, solitudine e sogno.
Il Baslotér, invece, rappresenta i molti
venditori di oggetti di legno, personaggi che un tempo giravano tutta l’Europa
per i loro affari.
Ancora nostalgia del prato e delle case.
Leggendo la lirica non sappiamo, ancora, che ci troveremo di fronte a Giuseppe,
straordinariamente uomo nel ricordo dei monti fra le nebbie, uomo che ascolta il
salmodiare dei prati e poi si affida, in maniera indissolubile, a Dio.
Giuseppe che si muove nel raggio della
divinità, Giuseppe che guarda Gesù non generato dal suo sangue e si commuove
perché Gesù è allo stesso modo Figlio e Dio.
Gesù Bambino, sospiro di stella, in
tutta la lauda è presente, come vena pulsante, anche attraverso altri
personaggi: Boscaiolo, Cardellino, Stella, Zampognara e ancora di più il
Ginepro, sul quale poi tornerò. Vivo e interessante il Boscaiolo ricorda
il mestiere di molti emigranti nell’ ‘800 e anche nel ‘900 fino agli anni ‘50
circa.
Il Boscaiolo, dalla potenza del drago,
segue la scia della luce per giungere al Bambino e dare “carezze che sanno la
salvia dell’orto”, insieme al Cardellino che “squilla voce di tenerezza”. Di nuovo ho trovato la magia dei numeri
nella lirica che riguarda la Zampognara (che di giorno fa la postina nei paesi
dell’ombra). Intanto viene nominata la località Tre
Faggi (sulla sommità del monte fra la Valle Imagna e la Val Taleggio).
Poi, il lungo viaggio verso la luce
della Zampognara, veleggia sette dossi, sette torrenti, sette pascoli, sette
boschi, sette nevai. Mi ricorda i sette giorni della Genesi. La fedele ricompensa dei suoi sforzi
sarà la possibilità di suonare la sua Ninna Nanna al Bambino Gesù.
Nella Stella, “squillata dal
principio del cosmo”, che flauterà la sua melodia, troviamo il verso che
accoglie la titolazione del testo: Ninna Nanna della Stella.
Soffermiamoci sulla complessa, e
apparentemente contraddittoria, figura dell’Altro: un lungo viaggio verso la
perfezione: uomo o vertigine di uomo. Origine animale o divina in questo lungo
e difficile percorso che porta a Jesus, dolcissimo Gesù.
Nel corso del mio ideale cammino, un
viaggio insieme all’autore, ho gustato i suoi versi, la musica delle parole, lo
stile inconfondibile. Catturata da una forza che diventa
dolcissimo canto. Allora versi come: “nelle vene mi
nevicarono parole” oppure “umile ancella con sguardo di cerva”
(sono solo pochissimi esempi), sono culla e desiderio.
Nell’ultima parte della lauda Giacoma
prende coscienza di essere divenuta Maria.
Maria, madre di tutte le creature
dell’universo, madre dal fiore di carne nato nel ventre, Gesù, madre dei pesci e
degli uccelli, l’utero che ospita il muschio e la felce. Madre soavissima di tutti gli uomini.
Un unico grande respiro che accoglie
tanti esseri pulsanti e il Ginepro che canta a sua volta la lauda al Bimbo dal
volto di rugiada. É tenerezza di nuvola.
I Re, che incontriamo subito dopo, hanno
sfidato trentatré montagne e mari e trentatré deserti, la loro meta è il Signore
delle stelle. I Re, che provengono dai paesi dove germina la rosa marina,
guidati dal chiarore di perla delle betulle e dal profumo dei ciclamini. Sono il
rumore dei passi: desiderio e miracolo.
La conclusione della lauda è del Primo
Angelo, che ci aveva indicato il percorso, testimone di una valle che pensa e
sogna. Ermellino ci ha regalato la sua fiaba
d’inverno dove il Natale luccica la Stella e gli occhi di Maria sono ancora
luce, sguardo di cerva. E noi, stregati dai fiocchi leggeri che
nevicano il silenzio, possiamo solo dire grazie e ripercorrere il magico stupore
del canto:
“Indèm, indèm, Vergine Maria”
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