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Sergio Corazzini, poeta
Inizio la mia conversazione su Sergio Corazzini con i suoi versi: parole di malinconia, parole di consapevolezza. Molto dei suo sentire, della sua poetica, della sua vita stessa, le possiamo davvero racchiudere in questi versi che sono tratti dal testo Desolazione del povero poeta sentimentale dal Piccolo libro inutile. Il suo destino, il breve passaggio in questa vita terrena, una sorta di tenerezza, che provoca e sollecita la nostra mente, hanno indotto a chiamarlo spesso il poeta Fanciullo (come lui stesso si definisce pur rifiutando la definizione di poeta, come poi vedremo). Sergio Corazzini nasce a Roma il 6 febbraio del 1886, sotto il segno dell’Acquario quindi. I genitori, Enrico Corazzini e Caterina Calamani, sono lui romano e lei cremonese. Dalla parte del padre, sia lui, Enrico, che il nonno Filippo, sono stati impiegati della Dataria Pontificia. Quando il padre di Sergio si ritira dalla Dataria Pontificia, raggiungendo la pensione, apre un tabaccheria in Corso Umberto ed anche un ufficio di rappresentanza di vini e profumeria. Tutto questo gli permette di poter far studiare i figli in collegio e di condurre una vita agiata, almeno per un periodo, perché ben presto la situazione cambia, a causa di scelte sbagliate del padre, Sergio si ritrova in una situazione molto diversa (lascerà la scuola di Spoleto), rientra a Roma dove si trova a dover cercare un lavoro per aiutare la famiglia. Lavoro che trova presso la Compagnia di Assicurazioni La Prussiana. Di questi momenti, del luogo triste e desolato, lui riporterà nei versi Soliloquio di un pazzo l’angoscia e lo smarrimento.
Ben presto si manifesta la malattia, la tubercolosi, la tisi, che lo condurrà ad una morte precoce, un destino e una malattia che colpirà anche la madre, anche se diversi anni dopo la scomparsa di Sergio, ed anche il fratello Gualtiero. Ma non precorriamo i tempi: Sergio, dopo il lavoro, frequenta un caffè che si trova vicino alla Tabaccheria aperta dal padre Enrico: il Caffé Sartoris dove si incontra con i suoi amici poeti, tra i quali Corrado Govoni, che lui chiamerà Il grande fratello in una lettera a Palazzeschi, Alfredo Tusti, Alberto Tarchiani, Tito Marrone, Gino Calza-Bini, Fausto Maria Martini ed altri. Secondo le testimonianze dell’epoca lui viene descritto ricercato nel vestire con cappelli a larga tesa e cravatte a papillon e un accanito bevitore di Pernod. Così ce ne parla invece Alfredo Tusti, suo amico fin dalla più tenera età:
Il 17 maggio del 1902 viene pubblicata la sua prima lirica “‘Na bella idea”, in dialetto romanesco, su Marforio, un giornale satirico-umoristico. (Lettura) ed altre ne seguono Partenza, La tipografia abbandonata. Nel 1904, tramite la Tipografia Cooperativa Operaia Romana, pubblica la prima raccolta di poesie che ha per titolo “Dolcezze” che comprende le poesie pubblicate sui giornali Morforio, Rugantino e Fracassa, oltre a sette poesie inedite. (Anche i libri successivi di Sergio verranno pubblicati con la stessa tipografia). Siamo nel 1904, Sergio ha 18 anni ed un destino segnato “con quella sua faccia un po’ reclina, gli occhi sorridenti e la voce così soave e calda in quella bocca sensuale che baciava col trasporto di una donna innamorata” (da un brano commemorativo di Corrado Govoni per l’amico Sergio). Fermiamoci quindi un attimo nello scorrere della sua vita brevissima, attraverso le mie parole, per parlare dell’uomo, o del fanciullo, che non si scinde certo come figura dalla sua poesia. Sergio Corazzini si inserisce nel crepuscolarismo una vera e propria corrente letteraria. Per i crepuscolari il poeta non è un protagonista, non è un vate, c’è questo abbandono del linguaggio aulico a favore di un lessico quotidiano ed anche la figura del poeta presenta quasi un rifiuto. Ricordiamo all’inizio: Perché tu mi dici Poeta? Io non sono Poeta. E lo stesso Guido Gozzano: Io mi vergogno, sì mi vergogno di essere poeta (La signorina Felicita). Ed ancora Marino Moretti: Aver qualcosa da dire / nel mondo a se stessi, alla gente / Che cosa? Non so veramente / perché io non ho nulla da dire. Fino alla conclusione: Ed io sono l’unico al mondo / che non ha niente da dire (Io non ho nulla da dire). Cito anche Aldo Palazzeschi che dichiara apertamente: Son forse un poeta? / No certo (Chi sono?) Chi sono i crepuscolari? (pensiamo ai più noti: Corrado Govoni, Guido Gozzano, Marino Moretti, Sergio Corazzini) Subito ce lo suggerisce il giornalista e scrittore Giuseppe Antonio Borgese nell’articolo a sua firma, pubblicato su La Stampa con il titolo Poesia crepuscolare il primo settembre del 1910, a seguito di una recensione scritta a Marino Moretti al libro Poesie scritte con il lapis. Ecco la definizione Borgesiana su quello che i crepuscolari esprimono: “la torpida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire e da fare”. Quindi questa struggente stanchezza del vivere, questo cogliere la vita nei momenti brevi, sommessi, senza ornamenti. Uno dei primi poeti crepuscolari, Corrado Govoni, scrive in una lettera del 1904, all’amico Gian Piero Lucini, parole esemplari: “le cose tristi, la musica girovaga, i canti d’amore cantati dai vecchi delle osterie, le preghiere delle suore, i mendicanti pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli alunni malinconici pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le campagne magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano su gli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l’erba”. Dopo questo breve inciso torniamo a Sergio Corazzini, alla sua vita, eravamo rimasti al 1904 che è l’anno nel quale Corazzini pubblica L’amaro calice, raccolta che comprende sette poesie inedite, oltre a tre poesie già pubblicate sulle riviste. Già dall’inizio dell’anno successivo c’è un peggioramento della malattia di Sergio e ci sono molte lettere che testimoniano questo stato di cose. In una di queste, diretta ad Aldo Palazzeschi, Sergio parla di una “grave insidia” alla sua salute. Il 25 marzo del 1904 viene pubblicata, sulla Rivista di Roma la poesia Sonetto della neve (Lettura) che poi andrà a fare parte della raccolta Le Aureole (che uscirà come raccolta nel luglio dello stesso anno con nove liriche inedite su dodici) e sempre nello stesso anno, in maggio, viene rappresentato, con scarso successo di critica e di pubblico, l’unico lavoro teatrale di Sergio Corazzini dal titolo Il traguardo, al Metastasio di Roma. Per vedere se il clima mite può portare giovamento alla sua salute Sergio parte per Nocera Umbra e lo annuncia in una lettera all’amico Guido Sbordoni: io sono così debole, così fanciullo, e tremo d’angoscia, ora tremo perché il male progredisce sempre, sempre e domani non potrò uscire …. Questo dolore, quest’ansia, quest’angoscia che accompagna la sua vita brevissima: un lampo, un flash nel firmamento degli anni che illuminano l’esistenza del poeta fanciullo. C’è questo pianto che lui manifesta agli altri, che scrive agli amici, questo scambio e conforto in una certa misura. Leggiamo un estratto dalla prefazione di Franca Maria Martini all’edizione delle Liriche (a cura degli amici) pubblicata a Napoli, dalla Ricciardi nel 1922 (quindici anni dopo la morte del poeta):
La Martini, nel suo scritto, parla anche di Battiti di poesia. Aggiungo anche un pensiero di Idolina Landolfi, scrittrice e critico, tratto dalla sua introduzione sull’intera opera di Sergio Corazzini e riportato su Bur Classici (Rizzoli, 1999).
In quel tempo si scrivevano, per fortuna, tante lettere a quindi rimangono delle bellissime testimonianze. Dopo tanti mesi di relazione epistolare Sergio Corazzini, nel 1906, incontra Marino Moretti il quale, essendo venuto a conoscenza del peggioramento di Sergio, va a trovarlo nel suo appartamento romano ed anche di questo episodio ci sono delle testimonianze davvero belle che poi Moretti riporta su Il Corriere della Sera (19/12/1942) Fuor di Firenze: Alloro per Sergio; poi Via Laura, Il libro dei sorprendenti vent’anni Milano-Verona Mondadori, 1944. Ascoltiamo queste parole di Moretti: Sergio entrò elegantissimo, un po’ con l’aria di entrare in scena, se ben col sincero proposito d’abbracciare un fratello mai visto: …(…)… giovane d’appena vent’anni, bello prestante, aitante e tuttavia con qualcosa di vecchio nella figura e negli sguardi errabondi, candido e insieme letterario nell’espressione …(…)… questa è la prima testimonianza relativa a quel momento con Moretti e poi anche l’altra …(…)… A un certo punto mormorò qualcosa in francese che avrebbe potuto essere un verso come “Mon amie est un enfant en robe de parade”. Aveva già la febbre alta. Confidava che stava per morire con una leggera effervescenza letteraria, sì che non pareva che, dopo tutto ch’egli dicesse e facesse sul serio …(…)… Ci avviciniamo alla conclusione della vita di Sergio: nel 1906 esce il Piccolo libro inutile dal quale ho tratto i versi con i quali ho iniziato questa mia conversazione. Il Piccolo libro inutile contiene otto poesia di Sergio e dieci di Alberto Tarchiani. Praticamente questo doveva essere il primo di una biblioteca di Piccoli libri inutili, cosa che non avvenne mai Tra l’altro, sul retro della copertina, era scritto:
Sempre nello stesso anno, vengono pubblicate le raccolte Elegia (con il sottotitolo di Frammento e sono sei pagine con 83 versi) e Libro per la sera della domenica, con dieci poesie inedite. Vorrei tornare però un attimo indietro per parlare d’amore, cioè dell’innamoramento di Sergio, quando a Nocera Umbra conosce una giovane danese, di nome Sania, e ne parla in una lettera all’amico Alfredo Tusti (25/6/1906). Ne cito alcune righe che sono di una tenerezza infinita per questo amore, anch’esso fanciullo, che prorompe con impeto e castità, desiderio e purezza.
Ho scelto proprio dai vari epistolari questa lettera che parla d’amore, quest’entusiasmo dell’incontro e così mitiga un attimo la tristezza della sorte di Sergio che poco dopo, il 17 giugno del 1907, dopo varie ricadute e miglioramenti della malattia, muore ed ha solamente ventuno anni. Le sue ultime poesie sono Il sentiero e La morte di Tantalo, quest’ultima pubblicata postuma. Purtroppo la famiglia non ha i denari necessari per fare la tomba a Sergio e devono passare tredici anni perché questo avvenga. Torniamo alla poesia di Sergio, che intreccia innegabilmente la vita e il destino del poeta. Vi ho parlato prima del cruposcolarismo, del quale Corazzini fu il capostipite e della magistrale definizione di Borgese che coniò proprio la parola “crepuscolare” nel 1910. Sergio Corazzini era morto da tre anni quando, appunto, viene definita la parola crepuscolare e non dimentichiamo che appena un anno prima, nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti, pubblica il Manifesto di fondazione del movimento futurista, nelle Cronache Letterarie del quotidiano bolognese La Gazzetta dell’Emilia, era il 5 febbraio. Pochi giorni dopo nella Gazzetta di Mantova, il 9 febbraio all’Arena di Verona, e dopo pochissimo su Le Figaro (20 febbraio), acquistando così un’internazionalità importante. Quanta diversità dai nostri crepuscolari, scriveva Marinetti: Non v’è più bellezza / se non nella lotta./ Nessuna opera che non / abbia un carattere / aggressivo può essere / un capolavoro. Non dimentichiamo neppure che ci stiamo avvicinando al primo conflitto mondiale e quindi il mondo viveva grandi tensioni. Per quanto riguarda l’arte: Kandinskij dipinge il suo primo acquarello astratto (1910) che viene ritenuto l’inizio della frattura con la pittura tradizionalista e proprio in quell’anno nasce, ad opera di Paul Poiret, uno stilista francese, l’Art Deco. Un’ultima curiosità: in Italia, la fiorentina Francesca Bertini, alias Elena Seracini Vittiello, grande attrice del cinema muto, inizia la sua brillante carriera con il primo film Il Trovatore. Pare che, per mantenere la sua fama di diva, indossasse un abito nuovo ad ogni scena e che alle cinque del pomeriggio, indipendentemente dagli impegni cinematografici, interrompesse tutto per prendere il te con le amiche. Ma torniamo, giustamente, ancora a Sergio Corazzini ed alla sua poesia. Dal libro del critico Emilio Cecchi “I Crepuscolari: Gozzano e Corazzini” viene evidenziato come le poesie di Sergio siano variazioni su di un unico tema: la vita e la morte, infatti Sergio è un fanciullo ammalato che convive giorno per giorno con quest’idea e ne parla nei versi, nelle lettere agli amici e così via. Ed anche come in lui non abbia agito nessuna forma, nemmeno in quella di reazione. Infatti è il primo a stampare un libro di versi dove non c’è più traccia di D’Annunzio e simili. Questa è un’opinione critica (Cecchi) che ho riepilogato. Prima di concludere vorrei parlare brevemente dell’epistolario di Sergio con Aldo Palazzeschi, dal quale ho citato prima qualche parola. Però prima vediamo in quale occasione i due si conoscono, o almeno iniziano questo rapporto epistolare: Aldo Palazzeschi, aiutato dalla famiglia, pubblica il suo primo libro di poesie I cavalli bianchi con il nome di un editore immaginario Cesare Blanc, che in realtà era il nome del gatto di Palazzeschi stesso. Non soltanto, ma anche la sede dell’editore era immaginaria: Via Calimala 2, Firenze. Era il 1905 e la raccolta di poesie I cavalli bianchi avvicinava Palazzeschi al crepuscolarismo, sia come stile che contenuti. Sergio Corazzini recensisce il libro in maniera favorevole ed inizia una fitta corrispondenza con Palazzeschi che durerà fino alla morte di Corazzini, avvenuta nel 1907. Per quanto riguarda la recensione al libro di Palazzeschi essa non ebbe però un seguito ed il libro rimase praticamente sconosciuto. Dall’epistolario vi leggo, adesso, una lettera del 1905:
La lettera poi continua con una citazione di Jammes e riprende
Questa è una lettera nella quale, pur nella malattia e nel dolore, c’è un sentimento di speranza. Ben diversa è quella che scrive a Palazzeschi nell’inverno del 1906. Ne cito solo poche parole.
Qui mi fermo e concludo con breve pensiero, breve come la vita di Sergio: il suo “povero piccolo sogno” come lui stesso definisce la sua vicenda terrena. Ci rimangono i versi: una poesia di piccole cose delle quali cibarsi, come la malinconia che fugge e ritorna, che accompagna il cammino e lo sostiene, che accarezza le ciglia, un po’ languida, un po’ sorniona del tempo breve del sogno.
Sergio Corazzini, Poesie, Bur classici, Rizzoli 1992/1999: Cronologia della vita e delle opere. Documenti e testimonianze del tempo. Giudizi critici posteriori. Sergio Corazzini, Poesie, Bur classici, Rizzoli 1999: Introduzione e commento di Idolina Landolfi Whipedia Sergio Corazzini, Crepuscolarismo, La poesia crepuscolare. ° ° ° Di seguito i testi letti alla conferenza
Prima lirica
Che vòi, Giggetto mio, m’ero stufato
d’aripagasse subbito. So’ annato
Se presentorno in quattro; ma de quella
Che già è inutile ch’io te l’annisconna ° ° °
Dalla raccolta Dolcezze (1904)
Il mio cuore è una rossa
eternamente mossa.
Giorno verrà: lo so
che la mia penna avrà
... e allora morirò. ° ° °
Dalla raccolta Dolcezze (1904)
O
piccoli giardini addormentati o
ritrovi di sogni immacolati, o
quanto v'amo! I sogni che rinserra Io
v'amo, io v'amo, o fecondati al sole ° ° °
Dalla raccolta L’amaro calice (1904)
Anima
pura come un'alba pura, anima,
dolce buona creatura, Luce
degli occhi, cuore del mio cuore, giglio
fiorito a pena su lo stelo ° ° °
Dalla raccolta L’amaro calice (1904)
O mia piccola dolce casa, vergine rossa
° ° °
Dalla raccolta Le aureole (1905)
Nulla più triste di quell'orto era, ° ° °
Dalla raccolta Le aureole (1905)
Sbarrò
nell'ombra i grigi occhi perduti: Egli
pensò che il cuor tremi alle soglie
Chiarità di una lama, o tu che fendi Io non
ho pace, l'anima è un pantano; Un
ragno tesse la sua tela folta Mai
più, mai più! su le terrene cose Il mio
cortile con un po' di cielo, Il mio
cortile è triste molto, come Tu che
mi ascolti non aver pietà, Ah,
quel Cristo, lo vedi? egli moriva Non
morì mai, non morrà più: mi guarda A poco
a poco si dissangueranno Chi mi
parla dell'anima? Un impuro Come
una fonte semplice e tranquilla Chi
batte alla mia porta? sei tu, cara? Mi
ricordo di te, sola; eri bionda, Chi
tenta l'ombra che stagnò nei trivi Chi
veste d'auree stole anche le immonde ° ° °
Dalla raccolta Le aureole (1905)
Non
rammento. Io la vidi Le
antichissime sale morivano Qualche
gufo co' i tristi Sotto
la polvere ancora, E
lacrimava per i soffitti Cantava
l'azzurro amante, Una
sera per la malinconia ° ° °
Dalla raccolta Piccolo libro inutile (1906)
I. Perché
tu mi dici: poeta? II. Le mie
tristezze sono povere tristezze comuni. Oggi io penso a morire. III. Io
voglio morire, solamente, perché sono stanco; IV. Oh, non
maravigliarti della mia tristezza! V. Io mi
comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. VI. Questa
notte ho dormito con le mani in croce. VII. Io amo
la vita semplice delle cose. VIII. Oh, io
sono, veramente malato! ° ° °
Dalla raccolta Piccolo libro inutile (1906)
I.
Elemosina triste II. Vedi:
nessuno ascolta. ° ° ° Da Libro
per la sera della domenica (1906)
Io sono
giunto alla città Io
grido: «non saprò Le
fontane cantano sempre Io mi
allontano E le
fontane cantano Ah!
sono io dunque colui ° ° ° Poesia pubblicata postuma il 28 giugno 1907 su “Vita letteraria”.
Noi
sedemmo sull'orlo Il
nostro dolore non era dolore d'amore Ma quel
giorno già vanìa E calò
la sera su la vigna d'oro
Assaporammo tutta la notte Bevemmo
l'acqua d'oro, O dolce
mio amore, E
aggiungi che non morremo più |
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