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L'arte della gioia
La riscoperta di una scrittrice che diventa un caso letterario
Da tutte le
opere di Goliarda Sapienza si possono raccogliere i dati per una completa
biografia non per un fatto solo esterno ma perché si può constatare quanto sia
breve in sede critica l’interdipendenza tra vita e
scrittura. L’opera d’arte sta a sé come in un mondo empireo e nondimeno non fa
che esprimere tutte le sfaccettature della personalità della scrittrice in una
corrente artistica e ideologica nel suo momento storico. Delineare la sua vita
significa entrare nelle sue opere tale è il rapporto tra la produzione
letteraria e i dati biografici. Gli avvenimenti durante la sua esistenza trovano
un preciso riscontro nei suoi libri.
Nata a Catania nel
1924 da una famiglia socialista rivoluzionaria morì a Gaeta nel 1996. Da giovane
frequentò l’Accademia di Arte Drammatica ed ebbe esperienza come attrice
teatrale e cinematografica lavorando, tra gli altri, con Luchino Visconti,
Alessandro Blasetti e Citto Maselli. Esordì con il romanzo Lettera aperta
(1967), seguirono Il filo di mezzogiorno (1969), L’università di
Rebibbia (1983), opera scritta dopo l’esperienza nel carcere di Rebibbia (1980), che definì “il regno della chiarezza apparente”,
per aver rubato dei gioielli a una ricca signora: La certezza del dubbio (1987).
La sua fama
però è legata a L’arte della gioia, ponderoso romanzo pubblicato postumo
nel 1998 e nel 2003 da Stampa Alternativa e ripubblicato da Einaudi nel 2008.
Rifiutato dalle case editrici più importanti soltanto quando uscì in Francia,
Germania, Spagna suscitò grande interesse e ricevette il dovuto riconoscimento.
Soprattutto in Francia l’accoglienza trovò un’eco trionfale; i giornali il
Figaro e il Nouvel Observateur affidarono il romanzo ai librai che lo “hanno
letto tutta l’estate” e quindi potranno consigliarlo ai clienti.
Catherin David nella recensione su Nouvel Observateur: “Tutto è straordinario in
questo libro a cominciare dal titolo L’arte della gioia che si direbbe
più adatto per un saggio filosofico, invece si tratta di un romanzo vero, che vi
trascina e vi scombussola, un romanzo pieno di febbre e di intelligenza,
concreto al massimo, visivo al massimo, erotico e familiare, psicologico e
politico, radicato in un’isola popolata di mandorli selvatici e di vendette”.
André Clavel in un articolo su Lire scrisse in modo epigrammatico: “L’arte
della gioia è la gioia dell’arte”.
Il lettore
che si appresta a leggere il romanzo è colpito dalla secca qualità realistica
dell’impianto fin dall’inizio: Ed eccovi a me a quattro, cinque anni in uno
spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso. Non ci sono né alberi né
case intorno, solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il
bruciore acuto delle palme ferite dal legno. Affondo nel fango sino alle
caviglie ma devo tirare, non so perché, ma lo devo fare. Lasciamo questo mio
primo ricordo così com’è: non mi fa di fare supposizioni o d’inventare. Voglio
dirvi quello che è stato senza alterare niente. Al centro della narrazione,
protagonista della storia dura, complessa, serrata è Modesta, che attraverso
dolorose vicende dal fango e dalla miseria via via salirà i gradini più alti
della scala sociale fino a diventare aristocratica non soltanto per fortunate
coincidenze e opportunità, ma soprattutto per il suo agire da“volpe e lione”
come insegna Machiavelli.
Modesta,
ribelle al conformismo morale e religioso, è una donna intelligente e vitale,
una “carusa tosta”, carnale e passionale senza distinzione tra uomini e
donne e perciò immorale, secondo la morale corrente. Modesta ha una sua
concezione dell’eros: “mi pare che ci si innamora perché con il tempo ci si
annoia di se stessi e si vuole entrare in un altro”[…] “L’amore è un’arte, un
mestiere, un esercizio della mente e dei sensi, come un altro. L’amore e il
sesso sono figli l’uno dell’altro. L’amore senza sesso cosa è? Una venerazione
di statue, di madonne. Il sesso senza l’amore? Una battaglia di organi genitali
e basta”. Parole che bene tratteggiano in un
dato contesto storico la personalità di questa donna di sulfurea intelligenza.
Si incorrerebbe in una grave limitazione del pensiero dell’autrice se questo
romanzo dovesse essere inteso come la “Bibbia del femminismo”, esso è
soprattutto un’opera d’arte. La critica fa emergere, a volte, il dibattito
ideologico e morale ma il suo vero valore umano e artistico è, senza dubbio,
quello autobiografico. Come riferisce Angelo Pellegrino, che dopo la morte
della scrittrice si adoperò per dare alle stampe il romanzo, “Goliarda non si
riconosceva molto in Modesta, rispondeva sempre un po’ turbata che Modesta era
migliore di lei, segno che Modesta può dirsi proprio lei, almeno quanto l’autore
può essere un suo personaggio”. Modesta nasce in Sicilia il primo gennaio del
1900, attraversa quasi tutto il Novecento, Crispi, fascismo e antifascismo,
guerra e dopoguerra, in cui la storia personale si svolge sulle linee della
storia della sua formazione: dell’ambiente e delle memorie in cui formazione e
memorie si erano venute a costituirsi. La famiglia socialista e le lotte per la
libertà durante il ventennio fascista sicuramente contribuiscono al formarsi di
una coscienza critica contro ogni forma di dittatura.
Il romanzo si
sviluppa attraverso un dispiegarsi di avvenimenti ed episodi ora violenti, ora
tragici, ora teneri e banali in cui domina sempre la presenza di Modesta.
Intorno a lei fanno da corollario personaggi minori, alcuni però di notevole
importanza nello sviluppo della storia: Tuzzu, il fratello, Madre Eleonora che
prenderà Modesta sotto la sua protezione, Mimmo che coltiva l’orto del convento,
la Principessa Gaia, Argentovivo, Carmine, Beatrice, Carlo, Bambù, Prando,
Jacopo, Jojce, Nina, Pietro, Mattia. Questi personaggi hanno tutti una loro
peculiare caratterizzazione e si manifestano in tutta la loro rozza, furba,
debole, sentimentale umanità con difetti, vizi, tic, qualità, come se l’autrice
avesse voluto presentarci una molteplicità di realtà di esseri dominati
dall’accettazione del proprio destino oppure da un cupio dissolvi senza
la speranza di una loro palingenesi. La narrazione, sempre viva e discorsiva si
dipana attraverso degli episodi recuperati dalla memoria. Affiorano talora
avvenimenti remoti che si intrecciano a fatti della vita quotidiana e su questo
sfondo di continue alternanze temporali emergono dalla memoria le figure di
personaggi (Tuzzu, Mimmo, Madre Eleonara) nei momenti di crisi esistenziale di
Modesta o nella difficoltà della gestione dell’amministrazione del casato.
Modesta vive nel tempo e nello spazio che sono gli elementi cardini della
narrazione in cui la scrittrice dispone una rappresentazione di personaggi e di
cose non che una organizzazione di visione della società. Dunque
nell’architettura del romanzo vi è una successione cronologica dei destini di
ogni personaggio scanditi in ogni particolare e ambientati con paziente
precisione.
L’arte
della gioia, capolavoro di Goliarda Sapienza, è il romanzo, che si colloca
al centro della sua vita, a cui ha dedicato molti anni di lavoro. Finalmente, la
critica, con l’eccezione di pochi che lo avevano accolto con attenzione
riconoscendo subito il valore letterario, ha provveduto ad approfondire i
contenuti e a farne una attenta analisi sul piano strutturale e stilistico. In
ultima analisi si può affermare che l’autrice con la sua ampia e sagace visione
del reale ha saputo creare una coralità di personaggi e un puzzle di
avvenimenti che entrano a pieno titolo nella storia letteraria.
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