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Il sogno è il territorio indagato in questa silloge, non per forza la dimensione onirica, ma piuttosto la volontà di plasmare la propria vita seguendo solo le aspirazioni più pure, i desideri più luminosi.

È in parte una raccolta di poesie d’amore, ma non solo, tutte le sfumature della vita, dal dolore alla memoria, dallo stupore al dubbio. Il sogno sarà realizzato? Il suggerimento che emerge da queste poesie è che sì, i sogni si inverano nella materia, ma non per sempre e non senza che si debba ogni volta conquistarseli. Lo “squarcio” è poeticamente improvviso: “…oltre l’asfalto percorso da ore avare | dilatate dal filo di un tempo | che mi conduce a te | nel pensiero di una fresca acqua | di una carezza sul cuore | di un antico pane”.

Il secondo volume è una raccolta narrativa che nasce dal desiderio dell’autrice di tramandare quanto appreso dai suoi “vecchi”, siano essi gli adorati nonni, i genitori, la “zia” Ubaldina, e altri anziani di famiglia, ma pure “estranei” come i coniugi Giovanni e Natalina che “abitavano in una casa scavata in parte nella roccia, una specie di grotta costituita da soffitto e pavimento a mattoni, con un focolare e un armadio”, interni veramente d’altri tempi. Ogni episodio ci regala la rivelazione di una felicità oggi ignorata; si era poveri ma ciò non pesava. Daniela Quieti riporta anche esperienze della sua infanzia nel territorio della Majella, dove sono ambientati i racconti, la prima presa di coscienza della morte, le gite e le emozioni della natura, le persone che le sono rimaste impresse a fuoco nella memoria. Tutto rivive e sfolgora di luce propria.

Recensione
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