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Nell’antologia
Il mio bicchiere da viaggio il tema quanto mai affascinante proposto è
quello del viaggio, come si capisce dal titolo e Raffaella introduce i poeti
della raccolta più che con una prefazione con un vero saggio, documentato e
pertinente indagando il particolare significato che il tema del viaggio assume
nella poesia degli autori prescelti, tracciando l'itinerario del libro e
rivelandone la mappa coerente. Partendo da molto lontano, dall'Ulisse omerico e
da quello dantesco, arriva al viaggio metropolitano e inquieto di Baudelaire e
al deragliamento ebbro del battello-Rimbaud. In ambito nazionale tappe obbligate
di questo viaggio preliminare sono il Campana orfico, Ungaretti, il Luzi di
Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. Che tale tema abbia suggerito
a otto fra i più importanti poeti attuali testi di alto profilo non è un caso,
ognuno infatti vi si inserisce con una geografia personale – spirito o luogo.
Gli autori sono Silvio Ramat, Giuseppe Conte, Roberto Mussapi, Umberto
Piersanti, Paolo Ruffilli, Valerio Magrelli, Milo De Angelis e Antonella Anedda.
In Ipotesi
d’amore ci sono vari temi tra cui quello della memoria in un tempo che
precede la nascita di Raffaella, dove un idillio, non per far del
sentimentalismo, sembra invadere la scena dove sullo sfondo s’intravedono nubi
minacciose e compare la terribile stella che segnò innanzitutto il destino degli
ebrei, e si parla della durezza degli scontri. Poi colloqui con persone care,
poeti e altri, sempre tutto dominato da una pietas capace di dare un senso alla
dura vicenda degli umani e di andare oltre la morte e il dolore. L’autrice poi
dialoga con se stessa fantasma o metafora che sia e si trova in luoghi non solo
lontani ed appartati ricordati anche da certi quadri della laguna romantici o
dai colori vitali e mossi: momenti dove l’adesione alle “cose” e alle “vicende”
diventa più forte ed immediata e dove lo scorrere della vita ha come un
soprassalto.
Seguono altri
episodi, momenti, ricordi tra struggenti e divertiti, sfondi erotici sempre,
tuttavia, trattenuti nella pacatezza dei toni e della lingua.
Una sprovveduta quotidianità
è divisa in quattro parti con testi che hanno una linea
logica con un ritmo quasi da fiaba dove la dimensione familiare, del quotidiano,
della vita anche di coppia si trasforma in memoria ed ogni poesia contiene un
ricordo suo, diventa una storia autonoma. Mi piace questo parlare del rapporto
anche coniugale o comunque d’amore, magari fra sorelle, così intimo e
universale: ci ritroviamo senza accorgersene immersi in momenti comuni, reali,
vissuti. Ma è nella sezione dedicata a ‘La Commedia dell’Arte’ che Raffaella
raggiunge un livello alto di creatività: con l’introduzione dedicata a
Verlaine, ci immergiamo anche nell’impressionismo ma le maschere che si
rincorrono o incontrano Casanova sembrano dirci di prendere la vita per gioco,
con un tocco d’amore e d’ironia ma ci invitano anche a riflettere.
A questo punto parlerei proprio di
questa sezione perché è quella che più m’intriga, le maschere. Perché da sempre
l’uomo ha avuto bisogno di crearsi questa doppia faccia, di nascondersi dietro
una maschera, vuoi per poco, pensiamo al carnevale o vuoi per ben altri motivi,
magari lunghi una vita. L’escursus che possiamo fare è ampissimo. Pensiamo al
‘500 epoca in cui nascono, per esempio, i primi teatri anatomici e Padova e
Bologna sono tra le prime Università ad introdurli ma non solo, dato che per
motivi climatici queste operazioni dovevano avvenire in pieno inverno, si
battezza il periodo di carnevale e a Bologna, in particolare, le pubbliche
funzioni di anatomia vengono aperte al pubblico e si permette proprio alle
maschere di accedere: quindi l’uso della maschera come momento ironico quasi a
canzonare, o meglio a sdrammatizzare, la figura della morte. Poi pensiamo al
‘700 a scrittori come Diderot che iniziano un percorso di sgretolazione,
dissoluzione dell’io, certezza assoluta di Cartesio, per presentarci dei
personaggi che si adattano alle situazioni, che cambiano continuamente maschera
e penso al romanzo autobiografico Il nipote di Rameau, con questa
figura giullaresca, capace di trasformazioni anche fisiche, oltre che
caratteriali, di gestualità da marionetta, che propone sentimenti profondi di
riflessione intima e filosofica sulle facce dell’io reale o invenzione. E poi
ancora, a scendere nel tempo, il tema della maschera affrontato, sempre e
comunque, da sociologi come Goffman da autori come Pirandello che ne ha fatto
un’icona del suo scrivere. Ecco che anche in Raffaella nasce questa necessità di
confrontarsi con le maschere. Certo sono quelle più note della tradizione, della
Commedia dell’Arte e si potrebbe pensare che molto hanno a che fare con le sue
origini Veneziane, con il mito carnevalesco di cui è intrisa la Laguna, che
forse per lei è stato ovvio parlarne. Ebbene io credo di no, credo che sotto
quest’apparenza giocosa, da cantilena scherzosa che si presenta nella forma dei
testi, si nasconda un qualcosa di ben più profondo, che va a toccare le corde
non solo dei sentimenti, ma anche del sociale o dell’intimo, se vogliamo, perché
quel burattinaio potrebbe essere il potere, uno qualsiasi che ci prende o
potrebbe essere Dio o il nostro destino, e le maschere diventano personaggi che,
comunque, affrontano il quotidiano, che in qualche modo devono fare i conti con
la vita, con l’amore, con chi li vuole in qualche modo soggiogare… dunque le
maschere chi sono? Siamo noi o sono un’invenzione?
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Recensione |
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