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La sacralità della lingua dei Padri
Nell’antologia
di recente pubblicazione presso bastoni “Poeti siciliani del secondo novecento”
il curatore prof. Carmelo Aliberti, a proposito del nostro Filippo Giordano, lo
definisce un poeta di elevata qualità che occupa già un posto a sé nella poesia
siciliana di oggi. La connotazione non mi è parsa “di rito” come si usa
fare spesso nei commenti delle raccolte antologiche, perché chi conosce Filippo
Giordano sa che non è persona facile, né avvezza, sgomitando, a farsi largo per
sedere in prima fila. Dunque, quello che emerge è un valore autentico e di
questa autenticità senza ombre non possiamo che andare fieri tutti noi
mistrettesi.
Mentre esce a
Foggia l’antologia di Aliberti, Il Centro Storico pubblica a Mistretta
Scorcia ri limuni scamusciata, una breve e densa raccolta di versi in
dialetto mistrettese, a riprova per Filippo Giordano di una florida stagione
letteraria. Ora mi chiedo se questo dialetto mistrettese non si possa dire
lingua o un’altra lingua, essendoci oramai abituati a leggerla spesso grazie a
Enzo Romano, a Graziella Di Salvo e agli altri che ci hanno allenati (molto per
merito de Il Centro Storico) alla “cosa” scritta con uno slargamento
oltre l’uso del campo semantico, tale da farci innamorare di queste Palori
al di là del velo della memoria, che avrebbe di per sé una sua frontiera
lessicale primitiva o ancestrale o che dir si voglia.
Filippo Giordano
dedica non a caso a Graziella Di Salvo ed a Enzo Romano “I palori” nucleo
centrale di questa importante raccolta in un importante abbraccio di immediate
emozioni: “I palori, priati | r’essiri assiemi | ruoppu tant’anni | com’erinu
prima, | ci rissiru a iddi: | Vulissimu nesciri … | Purtatinni a chiazza!”.
La riscoperta in
pubblico di una tale parlata che quasi spontaneamente assurge a dignità
letteraria, forse allarma il suo stesso autore. “Ma ddi palori n-testa |
s’arriminavinu | e facianu fudda pi nesciri fora”. Bisogna provvedere
affinché non si disperdano e non svaniscano più. “Pinsai ca facissimu
n-jardinu cu ddu porti; na chiavi a ramu o Sinnicu | e l’autra a cu a voli”. Nei ritmi e nei
contenuti anche ora non si fatica a riconoscere la poesia franca di Filippo
Giordano, tipica dei testi in italiano. Ma, forse, qui v’è di più, per un certo
abbandonarsi voluttuoso ad un gusto senza vincoli formali e c’è pure l’ironia
della maturità.
Se ci fate caso,
Filippo Giordano ha atteso anni prima di pubblicare la sua poesia in dialetto e
concedersi a questa forma originale, esclusiva. Il dialetto è difficile si sa,
non perché è astruso, ma per il rischio della sua banalizzazione o della facile
scivolata nel ridicolo, come in un battibecco di bottega o attorno alla sedia
del barbiere. Filippo Giordano ha capito che la lingua dei Padri non va
maltrattata per quel contenuto di sacralità che si porta dentro e, in più, per
quell’altro rispetto (oltre all’amore) per la Poesia che ha dimostrato di
osservare fin dai tempi di “Spirale” e di “Se dura l’inverno” (“non parlo di
me inesperto | intriso di polvere di paglia | ma di mio padre” … vi
ricordate Era Giugno?).
Perciò affida
questa esperienza alla maturità, come se dovesse scrivere un cimento in una
lingua straniera piuttosto che una confidenza d’arredo gergale. E quando il
sentimento si lascia prendere la mano dal gusto di scrivere, nascono versi di
cristallino petrarchismo (anche questo è novecento italiano) incontaminati: “Tu
si figghiu ri Marianu, ti canusciu | ch’iddu chi sta nna ddu quartieri vasciu; |
ora chiuru sta porta scancarata, | accussì cuminciamu a fari strata. | (…) |
Parlannu, parlannu intra arrivau; | quattro sganghi, pi-fforza, mi lassau. |
“Nun sacciu cuomu t’haiu a ringrazziari. | Finu a gghjintra mi vinisti a
lassari!” | Nu-nni vuogghjiu! Vossia lassassi stari!” |”Chinnicchennacchi! Tu ti
la pigghjari!” | Vossia nu rialu ggià mu fici: | i so palori intra sta curnici”.
Potenza narrativa e compostezza formale
insieme, in una commovente armonia di tempi e luoghi che non giungono dalla
periferia dell’esistenza, ma dal nucleo fondamentale dello spirito di un popolo.
Tale è la poesia di Filippo Giordano, ancora una volta Poesia alta, centrata sui
valori incorruttibili della vita.
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Recensione |
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