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La poesia e lo spirito
Un pensiero intorno al diario poetico “Di novembre (alveo)”
Seguire giorno dopo giorno la malattia della propria madre, fino alla sua
“nascita”, non è senza tensione, senza tremore, senza dolore.
Ma non è senza certezza. La certezza della ri-nascita.
La prima immagine che si presenta, polivalente e pregnante, è proprio quella
della “nascita” – termine usato dal poeta –, che è ri-nascita.
La ri-nascita corre tra il tempo del credere e il non-tempo del
vedere, il vedere che è il sapere diretto, chiaro, inequivocato e
inequivocabile, “quando non saremo ciechi, quando tutto sarà finito” (2
dicembre 2021), cioè quando sarà finito il tempo della opinione, del
pensare secondo le nostre costruzioni mentali.
Ho detto polivalente e pregnante l’immagine della “nascita”. In questo diario
poetico, nascita sta a significare la nascita di Gesù – preannunciata
nell’Avvento (3 dicembre2021) –, e anche quella che sta, per ognuno, dopo
il percorso che termina – il tempo del credere – e dopo l’ingresso nella
condizione che non termina – quella del vedere.
In altre parole, “nascita” è la morte del tempo del credere ed è la vita del
vedere. Dico questo, perché, in un mio recente saggio alla fine del 2022, mi è
venuto di scrivere: “entrato nella vita”, riferendomi alla morte di un amico,
tal Giovanni Scarale, riconosciuto poeta del “frate del Gargano”.
In questo diario poetico di Gian Piero Stefanoni sulla fine-vita, cioè sulla
ri-nascita, della madre dell’Autore, il concetto di nascita è
all’inizio (27 novembre 2021) ed è alla fine (5 maggio 2022). La
ri-nascita – occorre dire subito che si tratta di realtà e non di idea –
che comporta-comporterà la presenza nella “luce” (che però sa anche “la carne”)
di noi stessi e dei cari: e allora “ancora una volta saremo seduti
insieme”.Moriremo ma, nella “luce”, saremo vivi, concretamente (3
dicembre2021).
Ho detto pregnante e polivalente il concetto di nascita. È il filo conduttore
velato e manifesto. Velato, come, all’inizio del diario poetico, “la porta nel
cui grembo” si operano i compimenti e le mutazioni (27 novembre 2021);
alla fine, come il “feto di mani e di un braccio che adesso si sgonfia” nel
quale sua madre si “spegne” (5 maggio 2022). Un feto, dunque: qui velato,
e pure manifesto. In quel “feto”, infatti, qui ed ora, “nell’ora serale” in cui
la madre muore, la madre,in quell’ora,si “rigenera”.E rinasce a se stessa:
“Madre che a te rinasci”, così si rivolge a lei il figlio, mentre ella sta per
morire (2 maggio 2022).
Morte e vita dunque si implicano. Implicandosi, coincidono, al di là del
contingente – su cui non si può tuttavia sorvolare e che non si può sottacere,
come vedremo per cenni. Vita e morte si sovrappongono e in qualche modo si
coniugano insieme, anche per un motivo preciso: “Portiamo a spasso i nostri geni
nel destino che poi ci riveleranno”, tanto che si può invocare colui che non c’è
più: “Lasciatemi piangere, lasciatemi urlare. Papà raggiungimi” (20 dicembre
2021).
È una comunione che tiene “aggrappate” le persone amate (2 gennaio 2022)
in una continuità di vita con la “schiera degli scomparsi”, dei “cari”
scomparsi, “affaccendati dietro alle nostre miserie” (9 febbraio 2022):
un’affermazione, quest’ultima, che dice tutto sulla presenza effettiva, nella
comunione delle anime, delle persone trapassate. Sono, appunto, gli scomparsi
presenti che attendono i cari, come attende la madre di Gian Piero il suo
“bel Valentino”per un abbraccio non dimenticato, il suo sposo che non è più qua,
il suo sposo che è nel non-tempo ed attende la sposa “a una resa non
dimenticata di braccia” (14 febbraio 2022).
Questi cari sono – io ritengo – coloro che ci “preparano un posto nella casa del
Padre”, come ha detto Gesù. Ciò presuppone, nel pensiero acuto dell’Autore, la
partecipazione alla morte di Gesù mediante il sacramento eucaristico, pur
accostato con “una fede scossa” ma con “un amore che […] risponde, aderisce al
mistero del suo nutrimento” (9 marzo 2022) il quale è congiunto alla
Croce dalla quale risuona: “Non ti ho amato per scherzo” (11 marzo 2022).
Ciò vale anche per il proprio dolore, per la propria malattia, per cui il poeta
prega così: “Signore fammi stucco, fammi remissione con Te, nel tuo legno,
nell’umidità del Male” (18 dicembre2021), perché ci si innalzi con Lui
nella croce.
E allora un grido – o un sussurro? – imponente e importante si leva dalla Croce:
non si ama per scherzo, quando si muore davvero!
Io credo che è vivendo questi scossoni, quando il credere è messo alla
prova ma si è chiesto di diventare partecipi della crocifissione, si può dire e
si può esortare: “Guardare al valore, non cedere al peso. Questo il dono della
fortezza, la richiesta dello spirito” (1 gennaio 2022).
Bisogna aprire lo sguardo anche su questo fonte che patisce violenza – la “fede
scossa” –, perché, pur vivendo la comunione che svela e accompagna la continuità
delle esistenze e delle convivenze oltre la cesura terrestre, la vita sempre
aspira all’aria terrestre, finché respira l’aria terrestre! Benché si sappia che
con la morte della vita nel tempo ha inizio la vita nel non-tempo,
finché si è nel tempo l’impulso è di perdurare nel tempo, continuare “una vita
che non vorresti cedesse” (6 aprile 2022), tanto che con trepidazione ci
si chiede, come anche la madre di Gian Piero: “Secondo te quanto tempo ho ancora
di vita?” (5 gennaio 2022).
Il “mistero” sta dunque anche qui: si attende la fine – perché si abbia a
tornare nel grembo, per ri-nascere, ma si cerca l’aria, si cerca il
respiro! Quando “la vita ancora tende il fuoco a non spegnersi in cenere” e “se
pur bassa crepita in voce la scintilla” (14 marzo 2022), ci si sente
ancora legati alla terra, si vuole restarvi e si grida, con tutta“la volontà di
esserci, [con] la fame di vita che ti sta spezzando” (25 aprile 2022):
“ce la posso fare”! (10 gennaio 2022). Si cerca, per istinto, di restare!
Ma si sa che “tutto [è] così breve, tutto [viene] così presto” (9 gennaio
2022).
Tutto scorre e se ne va.
In questo scorrere del tempo, precisamente della malattia fino all’ultimo
respiro, dicevo all’inizio che bisogna pur rivolgere lo sguardo. E ciò è tanto
più impellente e importante, quanto più il tempo che scorre riguarda una persona
cara. Anzi carissima: la propria madre. Non se ne può fare a meno, nonostante,
anzi anche perché, si sappia che il tempo scorre verso la “nascita” e si arriva
alla vita. Però, i momenti che si vivono accanto a chi soffre – e aspira
a respirare, come s’è detto e nonostante quanto s’è detto – sono momenti di
sofferenza anche per chi vive accanto: per la comunione delle anime e della
vita, in questo caso di una vita che ha avuto l’origine biologica proprio in chi
e grazie a chi ora soffre. Ė dunque naturale che il figlio segua passo passo,
cioè patimento dopo patimento, il percorso della madre.
Ci sono certamente tante incombenze, i problemi di accompagnamento (“[…] alla
Tac chi m’accompagna?”) (5 dicembre2021), di pratiche mediche (“[…] il
ritiro del referto, senza referto come si può la visita… […]”) (11
dicembre2021). Ma soprattutto c’è la sequela del decadimento del corpo.
All’inizio è grande stanchezza: diventa un problema anche solo vestirsi, “[…] ho
messo un’ora e mezzo […]”!) (3 dicembre2021); l’annunzio del Centro
Assistenza domiciliare: (“[…] stato terminale […]” con“cambio di terapia, per
ora, nella pietosa bugia […]”) (15 dicembre2021); poi “trombosi retinica”
(11 gennaio 2022); la parentesi di miglioramento prima della fine (“Mah…
io mi sento bene, è per la testa che ogni tanto si
fa pesante […]”) (22 gennaio 2022), ma purtroppo “più si alzava [la luce]
più vedevo i tuoi giorni finire” – ammette il figlio in pena (1 febbraio 2022)
–, prima con “la voce progressivamente più stanca nel corpo stanco” (19
aprile 2022), poi “la corsa alla tua chiamata, al vuoto delle forze, alla
caduta del corpo” (24 aprile 2022), “L’affanno di sudore” (27 aprile
2022), “[…] infine il medico […], «proviamo a darle un po’ di forza»” (28
aprile 2022), infine “il sonno nell’amata stanza, nel riscatto del rantolo…”
(30 aprile 2022) o poi: “Ti spegni raccolta nel feto di mani e di un
braccio che adesso si sgonfia […]. Ti spegni […] nell’ora serale che qui ti
rigenera” (5 maggio 2022).
Ho voluto riprendere il pensiero che ha dato origine al mio breve
commento:l’intuizione della vita che rinasce dalla morte. Ma occorre anche
riprendere il filo che congiunge la vita rinata, cioè la vita che
continua nella “rinascita”, e la vita in attesa, cioè la vita che
respira. A congiungere, su un piano di soggettività l’una e l’altra, è il cuore
del figlio, il cuore di Gian Piero, dopo “lo strappo”, dopo quella “notte con
te”, quella notte tra le altre, nella “veglia”nella quale era possibile “lo
strappo nel cuore”, per l’abbandono della terra da parte della madre(21
aprile 2022).
E allora, poi, “Come sarà quando tornerò qua senza te? Quale grazia verrà per me
dall’abbandono? Vincerà il dolore o il ricordo?”(19 gennaio 2022). Interrogativi
senza risposta?
Una risposta c’è. Io credo. “Senza te”, non sarà nulla come prima. “Senza te”,
si riprodurrà sempre lo “strappo”. “Senza te”, ci sarà il “dolore”. Il dolore
della tua assenza. “Senza te”, si sarà l’orfano. Ma non vincerà il dolore. Non
vincerà il dolore, perché il “ricordo” sarà più forte ancora. Il “ricordo”
prevarrà: prevarrà, perché sarà un ricordo di chi è viva-di-nuovo, e non di chi
è morta-per-sempre. E se è viva-di-nuovo, allora vive di nuovo con noi.
È questa la “grazia che viene dall’abbandono”?
Le grazie potranno essere tante. Ma la grazia delle grazie è proprio questa.
Allora dunque il ricordo sarà con amarezza. Ma soffuso di dolcezza. Sarà triste.
Ma circonfuso di letizia. Sarà amaro. Però nell’allegrezza. E se dirò: “Senza il
tuo profumo, senza te chi ne avrà poi cura [delle orchidee]?” (29 gennaio
2022), e: “quale lettera la terra potrà mai inviarmi senza di te, senza la
tua mano” (11 dicembre 2021), è perché avrò il rimpianto della tua
presenza fisica, ma avrò la risposta dalla tua presenza in spirito".
9 gennaio 2023.
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