| |
Manzoni
Già numerose sono le recensioni della biografia
manzoniana dell’Ulivi, di cui c’è chi ha notato la «maturità», affinata
attraverso precedenti opere narrative, oltre che attraverso lunghi anni di
critica accademica. Qui, noi vogliamo sottolineare l’anima «francescana»
dell’autore, biografo anche dell’Assisiate e studioso francescanista. Non
sarebbe corretto operare parallelismi, spesso tanto insidiosi quanto fragili,
tra vita manzoniana e vita francescana, né ci sembra che il confronto abbia
avuto spazio nell’intenzione dello scrittore. Tuttavia, se l’Ulivi ha potuto far
emergere alcune note dell’esistenza manzoniana, ciò appare possibile perché egli
stesso ha avuto occasione di penetrare nel vissuto francescano. D’altra parte,
quanto all’accostamento Alessandro-Francesco, noi stessi stiamo per ricordare,
in un saggio, l’improponibilità sul piano sia delle tensioni conscie, sia dei
meccanismi inconfessati; pur tuttavia, alcuni elementi della dimensione
spirituale dell’uno e dell’altro comunque si sfiorano, costituendo presupposti
identici per sviluppi raffrontabili. Per il Manzoni in particolare, intuizioni
nascoste, antagonistiche a quelle manifeste, si lascian svelare nell’autotrascendimento
estetico-morale, manifestando consonanze con quelle di Francesco: anche se, in
costui, più armonicamente unitarie. Le impellenze dello spirito conscio (ad es.
il «timor»), nel Manzoni, determinano conflitti nella sua anima psichicamente
configurata, mentre, nella sua anima «poeticamente» sublimata ed interiorizzata,
esse si superano nella immagine del Padre come «caritas», «dilectio», essendone
informate e, con ciò, stemperate nelle spigolosità conflittuali.
Per esemplificazione ancora, notiamo con l’Ulivi
l’indole di Alessandro ragazzino: scioperato come i coetanei del suo ceto, egli
tuttavia era, nell’intimo, occupato da ideali che al contempo lo rendevano
distratto nei divertimenti stessi. Si trattava, già allora, di una serietà nel
senso di apertura psicologica, mentale e spirituale a interessi diversi da
quelli della mondanità sensibile, immediatamente attraente. Sviluppatasi in
direzione sempre più fondamentale, come interrogativo di fondo sulla vita umana,
quella pensosità, attratta dalle domande sul senso e sud valore radicale
dell’uomo, portò il giovinastro alla «conversione».
È
merito dell’Ulivi aver rintracciato le linee di forza dell’evoluzione
manzoniana, sulla cui giovinezza altre biografie hanno più giocato sui minuti
particolari – inventando peraltro fantasiose romantico-sensuali articolazioni,
non fondate -, che non rischiato interpretazioni complessive. E siamo giunti
alla «conversione» del Manzoni, seguendo la strada maestra del biografo. Prima
di procedere, ogni francescanista si chieda se la lucidità dello studioso non
sia dovuta alla sua stessa penetrazione dell’esperienza francescana.
Orbene, sulla «conversione», Ferruccio Ulivi si
«disimpegna» egregiamente – il verbo è nostro. Diciamo così, per addivenire
subito alla conclusione del critico-biografo: vagliate le varie ipotesi
biografiche e soppesate le diverse testimonianze, l’Ulivi perviene alla
definizione che il «convertere ad Deum» sta al di là delle congiunture. Ciò
sembra esser cosa lampante, addirittura stupida; ma di una stupidità del genere
non han fatto conto biografi meno astuti. Certo è questo: non si può chiuder gli
occhi e le menti ai dati acquisiti storicamente; ma non è neppur lecito parlar
di «conversione», come hanno tentato altri insigni, senza saper neppure non dico
che cosa sia tal fenomeno, ma come esso possa accadere. Nondimeno, a far
«cultura» sono proprio gli insigniti parolai (sostenuti da poteri economici).
Ferruccio Ulivi ha contemporaneamente dissertato sui fatti, e indagato sul
mistero. Su questa intuizione, noi vediamo la luce attinta dalla frequentazione
dell’Ulivi con Francesco d'Assisi, che, qui, sarebbe troppo chiederci di
documentare analiticamente.
È
poi interessante la ricostruzione della dinamica interiore che condusse di poeta
lombardo alla Resurrezione. Il biografo conclude che fu la lettura
del dato scritturistico ad attivare insieme mutamento esistenziale e ideazione
artistica. Al di là della comparazione francescana
–
che viene in mente pur ad ignoranti come noi -, è facile rilevare l’aderenza
dell’Ulivi alla vita intima del Manzoni, del quale egli sembra elicitare la
dimensione «nascosta».
Alessandro non è Alessandro, se non è tutto
Alessandro.
Consigliamo i benevoli lettori della presente
recensione di leggere il libro dell’Ulivi, se intendono conoscere bene il
Lombardo da una intelligenza aperta e disciplinata, e da una penna piacevole e
moderata. [Francesco di Ciaccia]
[Francesco di Ciaccia,
recensione di Ferruccio Ulivi, Manzoni, Milano, Rusconi (Le Vite), 1984,
pp. 427, in
«Italia
francescana»,
5 (1985), pagine 589-590.]
| |
 |
Recensione |
|