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San Francesco e il francescanesimo nella
letteratura italiana del Novecento
Atti del Convegno Nazionale
(Assisi 13-16 maggio 1982)
Si attendeva con particolare interesse, dagli
studiosi di letteratura e di storia e dai francescanisti in genere, la
pubblicazione degli Atti del Congresso sul francescanesimo nella cultura del
sec. XX, il cui dibattito è stato presieduto da accademici quali Bosco, Sansone,
Baldelli, Mariani, Petrocchi e Petrucciani.
In una prima panoramica delle relazioni, diciamo
che l’indagine si muove dal proto-decadentismo pascoliano e dannunziano – con
accenno doveroso, tuttavia, al Carducci (Ferruccio Ulivi) – a uno dei più
recenti romanzi su san Francesco: Le mura del cielo di F. Ulivi, che
nasce, secondo Ettore Bonora, «da una riflessione» sugli anni della
contestazione del ‘68 (p. 411). Lo stimolo proveniente dal Poverello è stato
incredibilmente attivo, e segnatamente in un secolo in cui tendenze scettiche
oppure proposte ideologiche, sia dissacranti, sia demoralizzanti, hanno
ingenerato per contrapposizione «un bisogno di sincerità», «un’apertura allo
spirituale», «un desiderio di nuovi impossibili sbocchi» (Silvio Pasquazi, p.
23). La ragione di tale universalità è individuata dal Pasquazi nella figura
«eristica» di san Francesco, e nella sua peculiare povertà, che esprime
addirittura «la verità della condizione umana» in quanto tale (p. 23).
L’intuizione poetica che, nei modi più complessi, porta a Francesco trascende
dunque l’«ambito rigoroso» (...) della vicenda religiosa» (pp. 21-22), e apre al
mondo in cui ogni scrittore ha inteso e vissuto la fascinazione francescana,
ciascuno secondo i propri presupposti ideali e poetici, sul fondamento della
propria esperienza esistenziale. Da qui l’eterogeneità dei ritratti del Santo
che ha imposto agli studiosi una metodologia critica rispettosa e attenta: nei
confronti soprattutto della personalità, della temperie storica e delle
influenze agenti sui singoli scrittori e pensatori francescani. Le risposte
estetico-esistenziali vanno infatti dal rifiuto – o dal malcelato fastidio –
alla strumentalizzazione più o meno spontanea, all’assimilazione parziale o
totale, quale si riscontra ad esempio nel «Doctor Misticus» Angelo Conti (Gianni
Oliva, pp. 59-66) o in Tullio Colsalvatico (Ines Scaramucci, pp. 361-372).
L’ambientazione del fervido periodo riformistico
tra l’800 e il ‘900 è offerta da Stanislao da Campagnola, cappuccino, che scruta
la storiografia francescana tra l’integralismo della Miscellanea francescana,
il contributo letterario del «modernista» Fogazzaro, e il riformismo di Sabatier
e Buonaiuti, sensibili al francescanesimo come nuova forma, profetica e
carismatica, del cristianesimo (pp. 73-101). Ferruccio Ulivi esamina, in un
ampio contesto che comporta scorci interpretativi del coinvolgimento francescano
nei vari secoli e nei paesi europei, il Francesco pascoliano e dannunziano:
l’uno sostanzialmente ridotto a una immagine favolistica e predicatoria; l’altro
addirittura profanato da insinuazioni tra il sensuale e il panteistico (pp.
27-51). Sugli stessi poeti continua l’indagine, «senza ripetere e senza
contraddire» (Umberto Bosco, p. 72), Gianni Oliva, il quale, con dovizia di
riferimenti testuali, ha focalizzato le componenti arcaico-medioevali e
preraffaellita della figura estetica del Francesco dannunziano, e ha
ravvisato invece l’istanza di carità nel Francesco pascoliano (pp.
43-66), considerando poi altri poeti dannunziani e antidannunziani (pp. 66-72).
Il Santo di Assisi, utilizzato dalla filosofia
pragmatica (p. 108) delle riviste fiorentine del primo Novecento – tra cui il
«Leonardo» dell’«ateo Prezzolali», p. 107 – è presentato da Giorgio Luti. È
interessante la definitiva posizione di Papini che approda a un san Francesco
maestro di «imitazione di Cristo» (pp. 109-110), ed è suggestiva
l’interpretazione francescana di Domenico Giuliotti sul versante di una
jacoponica «pazzia mistica» (pp. 111-112). Nella «Voce», al contrario, le
risonanze francescane riflettono un’esigenza di rigore culturale e civile
(Riccardo Scrivano, pp. 137-151), mentre il « Frontespizio », nel suo primo
periodo (1930-1935) legato tra gli altri a Bargellini, conosce un’ispirazione
più immediata e specifica a san Francesco (Francesco Mattesini, pp. 213-225) e
insieme un rapporto culturale al movimento innovatore espresso dalla Rivista
«Studi Francescani» di Firenze. Perspicace ci sembra il Mattesini, frate minore,
quando definisce l’essenza della letteratura religiosa, e francescana in
particolare, quanto a presenza culturale, nel «rapporto dialettico» con la vita
(pp. 239-240).
Nei poeti crepuscolari si nota un ambiguo
accostamento di san Francesco con la morte (Stefano Jacomuzzi): letterario e
fatuo in Martini (pp. 127-130), deformante in Corazzini (pp. 130-131), ma
soffuso di mistero in Cozzano (pp. 130-131). La rassegnazione e l’isolamento
tipici dei crepuscolari sono solo apparentemente in sintonia con l’ideale
francescano (pp. 131-132). Analisi del genere valgono a confermare il nostro
giudizio sulla superiorità, tra le poesie laiche (p. 132), del sonetto Santa
Maria degli Angeli del Carducci (cfr. F. di Ciaccia, Umiltà e morte nel
Frate Francesco carducciano, ne «L’Italia Francescana», 5, 1982, pp.
561-569). Ampio spazio, per l’intrinseca complessità dei fattori intuizionali di
genere mistico, è offerto alla poesia di Rebora e Fallacara (Alberto Frattini,
pp 153-169), di Campana (Giorgio Bàrberi Squarotti, pp. 182-196) e degli orfici
(Franco Lanza, pp. 196-206). Sulla linea di un francescanesimo vigoroso, alieno
da rappresentazioni dolciastre, è la ricostruzione spirituale di Ungaretti,
prossima a quella di uno Jacopone (Achille Tartaro, pp. 245-258). È tuttavia da
segnalare il dubbio avanzato in proposito da S. Scrivano (pp. 373-374) sulla
base di una equivocità semantica. Ulteriori rivisitazioni francescane colgono la
figura di diversi altri poeti e scrittori, dal siciliano Di Giovanni (Giorgio
Santangelo, pp. 259-268) alle generazioni tra Eco e Fabbretti (Giorgio Petrocchi,
pp. 351-359), e interessano correnti critiche, da quella del metodo storico a
quella del neoidealismo (Mario Scotti, pp. 299-328), o interpretazioni del
Cantico di frate Sole (Aldo Vallone, pp. 329-346).
Al di là dell’eccezionale competenza
critico-storico-ermeneutica dei relatori in genere che hanno dato un contributo
fondamentale, efficacissimo e ineludibile a ogni futuro studio sull’argomento,
resta valida l’osservazione di Stanislao da Campagnola, secondo cui è stato
indagato sul come il francescanesimo è presente nella cultura. Manca la
riflessione sul perché.
[Francesco di Ciaccia,
recensione di Accademia Properziana del Subasio, San Francesco e il
francescanesimo nella letteratura italiana del Novecento. Atti del Convegno
Nazionale (Assisi 13-16 maggio 1982), a cura di Silvio Pasquazi, Roma, Bulzoni,
1983, pagine 430, in «Letture», 408 (1984) pagine 582-583.]
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