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La littérateuse en abîme
Piccolo vademecum per percorrere il
Ruvido lago
di Gemma Forti

1.
Ruvido lago non è un racconto
di genere. Non è un
noir, né un
feuilleton
amoroso, tanto meno un’acritica riapertura di sentieri veristi
con cespugli
liberty,
affioranti qua e là: nello stesso tempo
Ruvido lago
è tutto questo e molto altro, se si considera la felicità creativa e la
compiutezza di questa prova narrativa, più matura e compatta delle precedenti (i racconti
inseriti nell’antologia
Partitura per voci narranti
del 2000,
La casta pelle della luna
del 2002, oltre a numerose altre prose comparse in vari numeri
della rivista
Fermenti).
2. Maestra nel creare superfici levigate e rassicuranti,
altrettanto abile nel produrre lenti smottamenti carsici, fino a farli sprofondare in
crolli paurosi e insondabili abissi (a ciò rimanda la natura lacustre del
titolo), Gemma Forti ipotizza nuove vie narrative, sperimenta tonalità e registri,
gioca con le aspettative dei lettori, credibilmente sballottati nel passato
(gli anni ’50 del Novecento) per farli assistere a una vicenda congegnata con le
ambiguità del melodramma. La bellezza carnale della giovanissima Caterina e le
pruderie che suscita nella provincia laziale di sessant’anni fa,
l’efferato omicidio di un’altra ragazza, il cui corpo violato e sventrato viene
rinvenuto sulle rive di Lagoscuro, le successive indagini e l’approdo a una possibile
verità costituiscono il perimetro d’inchiostro all’interno del quale si
agita un’umanità che anela a riemergere dalla propria povertà, materiale o
spirituale che sia.
3. Fra la mimesi
del reale e una debordante fantasia, fra le intrusioni di un’asciutta nostalgia (l’Italia arcaica e preindustrializzata) e
le regressioni alle pulsioni più remote dell’umano (un uomo-bestia si accampa
turpemente sullo sfondo), Gemma Forti riesce a conficcare nella nostra
immaginazione le insegne e gli spettri del versante più oscuro e raccapricciante
dell’Io. L’Autrice accompagna i suoi personaggi con puntigliose descrizioni fisiche
e astute velature psicologiche (“Il tono di voce era stridulo e
sussiegoso, mentre si muoveva a piccoli passi sui piedi gonfi e impettiti, facendo
sussultare l’imponente didietro tremolante”, p. 19), con ciò riesce a
rendere la complessità dell’esistenza, evitando il rischio di ammannirci
morte figurine di carta. Gemma Forti evoca atmosfere cupe e sfatte a ridosso della
fantomatica località chiamata Lagoscuro, accende e spegne i timbri della
passione (la
liaison tra
la conturbante Caterina e il giovane rampollo della famiglia De’ Renzi, Jacopo), indaga solitudini e amori saffici (la relazione
segreta tra la professoressa Eloisa Savini e la contessa Clotilde Onofri),
offre ai lettori una narrazione pluristratificata, attraverso le articolazioni di un lessico
ricercato e informale, aulico e dialettale, prevalentemente paratattico,
senza disdegnare le delizie formali dell’ipotassi (“In testa, il cappello di paglia
chiara troneggiava nei numerosi nastri, appuntati con estrosità pacchiana”, p. 38;
“Quarcu annu fa, trasiva a vustra ziia a lavada”, p. 39; “Romolo era stato
interrogato più volte, sia dai carabinieri che dal magistrato, il quale, pur ritardando
qualche ora, era accorso prima che il medico legale venisse a controllare il
cadavere”, p. 80).
4.
Ruvido lago è costruito sul
simbolismo delle acque e dello specchio: da un lato si fa riferimento al lago e alla sua
proprietà riflettente,
vale a dire l’occhio che dalle profondità ctonie sale in superficie a spiare quanto
accade attorno alle sue rive; dall’altro si considera il lago come un liquido altare di
culto, poiché esso partecipa con la sua
profondità,
con il buio delle sue calme correnti ai misteri che accompagnano l’instaurarsi e il divenire di qualsiasi
comunità. Per Gemma Forti le increspature del lago metaforizzano impietosamente le
pieghe nascoste, le parti recondite dell’animo umano: questa stridente
connessione tra il profondo e il superficiale (l’occhio e lo specchio) determina
la comparsa di un flusso ininterrotto, di un’energia inarrestabile, ascrivibile
alla dualità di
eros (la
forma concava del lago richiama il senso di accoglienza, la protezione umida del grembo materno) e di
thanatos
(i rischi dell’esistere, l’essere gettati nel mondo). Il lago allude al bisogno di
ritirarsi in un luogo dove riacquistare le forze e riemergere risanati, non prima però
di aver superato prove dolorose e drammatiche (“In quel punto il lago
assumeva un aspetto primitivo e selvaggio… In quel luogo il lago manifestava
la sua reale essenza. Non più oggetto da cartolina, bensì elemento aspro,
crudele, celante nel proprio ventre ogni segreto, anche il più oscuro e
inconfessabile”, pp. 43-44).
5. L’impianto
realistico non costituisce la ragione dominante nell’economia di questa scrittura: Gemma Forti procede senza indugi a mettere in
luce la dimensione acausalistica, imprevedibile, misteriosa della
condotta umana. L’agire dei personaggi, il modo in cui maturano le proprie
decisioni, il concatenarsi delle azioni rappresentano motivo di continua
riflessione da parte dell’autrice, attenta a estrarre un filo di limpida razionalità
dallo gliommero
del caos e della confusione di tutti i giorni. Nel vitale
contrasto tra l’ingarbugliamento del contenuto e l’equazione matematica della
forma si colloca il
quid
narratologico di
Ruvido lago,
opera chiaroscurale, luminosa e tenebrosa,
realistica e visionaria,
conclusa e inconclusa, al punto che Gemma Forti nell’explicit
al libro rimette tutto in
discussione e ri-precipita il lettore in uno specchiante labirinto spazio-temporale, dove il mondo si
capovolge e sono le decisioni che si impossessano dei personaggi sorprendendoli e
dimostrando loro come una lunga serie di riflessioni possa in ogni istante
essere sovvertita da un impulso inaspettato che, quando si manifesta, determina
gli accadimenti dell’esistenza.
6.
Ruvido lago si dipana con i
suoi accenti da
bildungsroman, da romanzo di formazione che coglie gli struggimenti e gli apprendimenti di
un’adolescente di provincia. Questo versante più letterario sversa
continuamente nella sociologia e nella storia: è da sempre (fin dal poema
Gli occhi della genziana
del 2000) una caratteristica dell’arte scrittoria di Gemma Forti
il rimando prospettico dalla macrostoria collettiva (il delitto Montesi del
1953) alla microstoria individuale, frutto di invenzione poetica. La
sapienza narrativa dell’Autrice prevede il ricorso a un ricco caleidoscopio di voci
(la canzonetta, il cinema, il Werther goethiano, gli eteronimi di Pessoa e la
straordinaria vicenda delle sorelle Brontë). Gemma Forti ha ben presente la
differenza fra
femminilità e
femminismo,
dimostrando al riguardo una istintiva ribellione ai
clichés, senza mai
abbracciare ideologie stantìe e cristallizzate.
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Recensione |
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