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E’ veramente grande l’Amore di Antonietta Tafuri, nel suo ultimo lavoro letterario, una raccolta intera composta di 255 pp. interamente dedicata all’Amore.

Tutti sappiamo come sia difficile il tema dell’amore : lama a doppio taglio che quasi sempre ferisce, recide, addolora. Non così per l’autrice che alterna toni aulici alla delicatezza, alla tenerezza dei suoi lunghi silenzi e alle tensioni liriche delle emozioni.

Antonietta Tafuri non è nuova al tema dell’amore, lo ha sempre trattato come un angolo riservatissimo in cui il coraggio diventa sublimazione e la volontà di interagire con l’altro si fa unificazione d’intenti, catarsi, binomio di perfezione idealizzati al sacro fuoco di una magìa evocativa di sentimenti e passioni, mai domati.

Non più, dunque, dualità, ma solo diversità che si amalgamano e vivono il sogno altalenante e sublime dell’ideale puro, dove risiede e fa capolino il bisogno impellente degli essere umani a cimentarsi con questa esigenza dell’animo che cerca “la coppia” non la solitudine, come itinerario di fede, di gioia, pur nel breve e ineludibile tormento degli stati d’animo e delle contraddizioni del quotidiano.

La poesia di Antonietta Tafuri, quando tratta dell’Amore non è mai banale, non è mai snaturata dal suo farsi incantamento e forma primitiva di espansione da sé medesimi. Quando amiamo ci espandiamo nell’altro di noi, ci dilatiamo nell’immenso, ci proponiamo ad una difficile prova che è il sentimento esclusivo che ci lega all’altro o all’alter ego- (da-sé). L’attrazione resta un punto inesplicabile, annuncio di una condizione sine qua non di ridimensionamento dal quotidiano, una sorta di compenetrazione, di ritrovamento, di reciproco adattamento che ci confonde e c’inquieta per la misura perdutamente incommensurabile del sogno.

Una magìa verbale sembra dominare i versi della Tafuri che li sciorina come grani di rosario, ne fa un laboratorio linguistico atto a violare le pareti insondabili di un ignoto che è lacerazione e affanno, ma del cui indicibile conforto la poetessa non può fare a meno.

E’ una prodigiosa atmosfera di energia elettromagnetica che ipotizza l’Amore con funzione catalizzatrice, una evangelizzazione surreale delle nostre aspettative, una proiezione all’esterno di noi, di quella parte più avanzata della nostra conoscenza e del nostro spirito.

L’amore, suo malgrado, è sempre accompagnato dalla sua intensità maieutica, che soffre proprio del suo stesso bisogno d’amare. Intendiamo dire che spesso amiamo l’amore più della persona amata, siamo innamorati dell’amore, pur nella sua indeterminatezza, nella sua menomazione o perdenza, nel suo smarrimento e straniamento.

È un atto di coraggio e di rivelazione che si offrono alla magìa dell’intesa più ancora che il senso pieno di beatitudine, di felicità.

L’Amore porta sempre con sé i segni delle ferite, le cicatrici, le contusioni e le frustrazioni. Non vi è amore senza una pressione contigua di smarrimento, di dispersione, di assenza.

L’Amore soffre dell’insufficienza di grazia. Vive dell’innamoramento che porta in nuce la sua fine. Si tratta di un cerebralismo mentale? o è il frutto della nostra incapacità di amare, di donarci appieno all’altro-a da sé?: “Ora so che nel cielo dei pensieri/ crescono cori alti a salire il canto/oltre le cime dei desideri. (Mentre mi stringo il mondo).

E ancora: “Vieni a spalarmi cumuli di gelo7 che mi freddano il tempo/ con un respiro caldo sulle labbra.” (Vieni).

L’Amore è tutto ed è anche niente: è speranza e inadeguatezza, è fragilità e forza, è coraggio e totalità, ma anche assenso e felicità quando: “la mano nella mano/nasce un miracolo di neve nell’estate/ per regalare una stella alpina. “ ma poi “ è una dedica l’Amore …che si rinnova ai giorni/ sfodera nel tempo il suo pregio e si decanta.” (Non sa tempo l’Amore).

E’ rischio temerario e spregiudicatezza, qualcosa che ci fa trasalire nel sogno, qualcosa che ci ripaga e ci conforta nel continuo perdersi e ritrovarsi di un solipsismo subillino che ci condanna all’indeterminatezza, ma anche alla trasmissione di pensieri, alla congiunzione dei contrari: quando amiamo siamo unici e irripetibili, siamo in totale ebbrezza.

L’amore, dunque, manca nella misura della sua aspettazione , nella realizzazione più o meno felice del proprio status di grazia.

Come polisemìa reiterativa del nostro io è insufficiente linguaggio intellettuale, ma sa essere anche passione senza redini, annullamento nell’altro, coscienza del proprio io, che si espande fuori di noi, nel creato, nell’universale di una metafisica rivelazione. La simbiosi ideale di una dualità è sempre un miracolo quasi indecifrabile, ci proietta in un mondo che si fa tensione confessionale di una testimonianza di Dio. La fede esprime l’amore come la tensione lirica ne esprime i contrappunti, le evocazioni pur fuggevoli e vertiginose. Qui, in questo libro, la tensione lirica è palpabile, vi sono strategie lessicali di grande manierismo, un’astuzia letteraria e verbale di sorprendente fiato. La Tafuri vola alto, non si logora nell’esasperante attesa della storia narrabile, va oltre nei territori intensi dell’anima, dentro il compiaciuto labirintismo della orchestrazione, si staglia netto il suo orizzonte , con un colpo d’ala si libra all’infinito, a quella predestinazione naturale che fa dire a chi legge, -questo è un poeta nato. La poetessa sa dare alla ricerca e allo scavo d’Amore tutta la passione e il garbo, il sapore, il colore, la luce di un’onda lunga che l’emozione del pensiero sa cogliere nelle dovute sfumature e allitterazioni. Anche le metafore risentono di un originale afflato lirico il cui esito è concretamente realizzato.
Recensione
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