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Prefazione a
Non è tempo per il Messia
di Carmen Moscariello
in corso di stampa
Altra “piece”
teatrale di grande spessore lirico, come ormai ci ha abituati Carmen Moscariello,
la quale dopo il suo recente Giordano Bruno, sorgente di fuoco mette in
versi una rivoluzionaria indagine metastorica in grado di offrire la potenza
della voce introspettiva.
Quella di Non è tempo per il Messia infatti, non è comune sceneggiatura o regìa per declamare nelle platee
del mondo, è poetica che squassa i timpani e lascia tracce di Trascendenza dai
contorni sfumati, ma carichi di un’emozione musicale propiziatrice al dire, che
va oltre: origina dalla reinvenzione di segni che avvertono l’ampia
misura del dissenso di oggi, nei confronti di un Ente Superiore quasi
dimenticato o rimosso, (da qui il titolo), che vigila le nostre forze nello
scenario di un canto, quasi primordiale, votato alla notte dei tempi, a quella
Verità fatta di ipotesi, ma anche di aperture alari verso il cielo.
La poetica di Carmen
Moscariello lascia stupefatti, perché sa trovare la formula più idonea della
comprensione verso una tematica difficile e ostica come è quella a sfondo
religioso, che adempie al compito di indagare sul Mistero della fede, dentro
quel credo subliminante e divaricante quale può essere l’esplorazione nei
territori dell’Incognito.
Un tuono, per così dire, un
boato d’immense proporzioni, che intende portarsi oltre il limite della parola
provvisoria, banale, sterile; sviare dalla miseria umana, verso lidi più estesi
in differenziali di energia spirituale, rinnovando un coro d’angeli, intonandolo
ad una Misericordia, ad una Pietas che vanno oltre, ben oltre, il limite della
percezione di un clima ad effetto.
L’opera dell’autrice intende
accordarsi a pause di riflessione e di scavo nei luoghi di Dio: “Il poeta ha
solo la parola | ... | vorrebbe egli gridare per i mille che non hanno volto.”
La poetica di Carmen è
matura, è limpida, è cristallo di rocca dentro l’oscurantismo cronicizzato del
nostro miserevole margine terreno, sa imprimere una svolta alla logica di una
indagine cristologico/fideistica/ecumenica come pochi.
La natura stessa
dell’autrice sembra portata ad affrontare problematiche aspre, vette impervie,
visitare altari dimenticati, luoghi inconsueti, nicchie oscurate dal perdono,
abiurate da un’eclissi di Luce, dove il misfatto e il Male si accumulano per
inerzia dei sopravvissuti o per allontanamento dai luoghi di culto: noi che ci
assumiamo l’impegno di evadere dalle cose sante e giuste non teniamo mai
d’occhio – la verità dell’oltre – la parte più accorata dell’ io che ci avverte
di un’assenza o di una presenza occultate dalle tenebre o, che dir si voglia, da
uno scetticismo agnostico e dall’indifferenza verso Dio.
Carmen Moscariello si fa
interprete di una speranza, portavoce di una premessa nobile che è quella di
divulgare la parola profetica all’interno dei lettori di poesia: e “il dies
irae, | spogli davanti a Dio”, lo mostra in tutta la sua equazione – sine
qua non – : niente Dio niente salvezza, pare voglia intendere l’autrice.
La sonorità del suo canto è
come quella di un òboe che suona musiche celestiali, tali da distogliere dalla
noia e dall’ignavia, riflettere sulla luce sempiterna di una Gloria superiore,
a fronte di una cecità gnoseologica.
E’ significativo affrontare
l’Assoluto, avendo integro il senso della vita, la tipologia di una
riconciliazione in Cristo, una chiarezza tensionale verso una creazione di
Grazia che sia un itinerario dello spirito, un travalicamento della parola, in
modo che essa sia forgiata a strumenti gnoseologici che riconoscano la
trasmutazione mortale, sanno l’impedimento di ognuno nel guardare “oltre”.
Allora, è l’anima il
progetto della Pietà cristiana? l’illuminismo della ragione assente che ne
formula il dissidio con la corporeità materica? corpo e anima troveranno
un’intesa, un’armonia che instauri quella sorta di scintilla? può mai divenire
catarsi salvifica l’attuale perseverante diniego delle regole?
Avere forti radici è
necessario per arginare il Male, identificarsi alla Purezza dell’aldilà, alla
connotazione ultima che effonde un richiamo di forte ispirazione cristiana.
E’ necessaria una devozione
ai principi fideistici che coincida con il significante, scandito a lettere
d’oro nel panorama della speranza, nella metamorfosi di una libertà che,
dall’Immanenza costruisca la Trascendenza, attraverso il Concetto unitario,
inamovibile dell’Eterno.
Sul piano etico, questa
poesia è anche un canto alla vita, uno squarcio pigmentato dal dolore, dal
dubbio che nella visione storica cerchi il pensiero della creazione, la sigla
del de rerum sapiens.
L’acutissima sensibilità
dell’autrice ce ne dà numerosi esempi. La dignità stilistica sa sprigionare
istanze di vero fervore: l’ignoto si dà dimensione analogica, metaforica, senza
trascurare il disegno dell’ambiguità lirica, che è davvero sorprendente, per
tutti i testi di questa superba raccolta lirica: “Nessuno ha pietà. | Il poeta attraversò lo
Stige. | Nel buio la morte del mondo senza Dio.”
infine conclude con “Eterno è il pensiero di Dio” epigrafe di genuina
espressione letteraria che, pur nella sua semplicità, intravede nella figura di
Dio la visione e la dignità del suo contraddittorio, l’indivisibile condizione
d’inquietudine solipsistica e metafisica, come trasfigurazione e dimensione più
umane.
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