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Veniero Scarselli, il caso letterario di quest'ultimo scorcio di secolo, mi chiede un parere critico, che mi pone in palese approvazione del lavoro fin qui intrapreso. E così, come era avvenuto per altre opere precedenti, alle quali avevo dato avallo, decretandone il successo in "primis", avendone intravisto i tratti salienti e immortali di una sigla lirica di eccezionale valore, non posso ora che avvalorare, ancora, l'ipotesi di trovarci di fronte al Poeta (P maiuscola). Dico questo non tanto per giustificare la mia presa di posizione antecedente alla stesura in stampa del volume, ma anche e soprattutto, perché egli mi appare mostruosamente vicino al magma che si rovescia sull'umanità dolente e ne trasfigura i connotati, (solo che Scarselli lo traduce in simboli non comuni di messaggio lirico) gli altri lo intuiscono appena apparentemente.

Nell'agone letterario contemporaneo, Scarselli si staglia con una sua fisionomia non approssimativa, dentro una fenomenologia, senza precedenti, in un tempo senz'anima. Le macerie fumanti entro cui si dibatte Scarselli, sono senza tema di smentita la tragica realtà dell'oggi, l'epilogo, per così dire, furibondo e demoniaco di un'anima che si oppone al furore dei sensi, di un corpo sordidamente attratto dal dominio sessuale, aggressivo, infernale c perverso che riesce -a prevaricare la sua morte estrema, intesa come forza distruttrice, oscenamente incapace di purezza combinatoria e lenitoria.

Scarselli, oggi, si presenta come un condottiero senza macchia e senza paura, forse, intende dare scacco ella Morte nella protervia fierezza del suo carnale sfinimento, e risalire così, dalle latebre purulenti del suo stesso vortice oscuro, alla catarsi di un'confronto storico.

L'ossessione del suo linguaggio, apparentemente osceno e dissacratorio, non è connotazione morbosa. E' invece finalità e liberazione dalle scorie malefiche di una solitudine cosmica o forse più universale, verso una Luce, flusso illuminante entro cui si dibatte l'Uomo del secolo, travolto dalla sua stessa relatività e turbamento. Tutto in questo poema lirico si erge a contrastare la nostra Morte estrema, e Scarselli si riconosce, più d'ogni altro, in quanto dalla sosta amatoria, pertugio di estasi e tormento, indecifrabile spinta tensionale di incontro|scontro, sa cogliere l'apocalittico discorso filologico e lirico di ragguardevoli proporzioni.

Si fonde, per casi dire, nell'ultimo gurgito fremente, che non è perversione né peccato, ma secondo una laica trasposizione, un tentativo di ritardare l'ossessiva, ripupante "Signora delle Ombre".

Il decomporsi del corpo in fiumi di parole oscene, alluvionali di fisicità interdette alla ragione, altro non è che, l'intuizione lucrezianamente intesa come natura infernale di biologica degradazione. Il suo lirismo, per quanto mi riguarda, intende proporre un aspetto meno laido dì sigla gnomica.

Con quest'opera veramente temeraria e di grande coraggio Scarselli si pone tra la vita e la morte, in un amplesso quasi demoniaco di enigmatiche presenze (immanenze). ll concetto di disperata tragicità sta a monte del solipsismo delI'uomo, perciò il suo"degrado ribolle di tensionatità stratificate da colate di magma incandescenti e spore avvelenate. ma l'urto del suo "establishement" è il risultato della sua oscena solitudine cosmica, quasi metafisica. Scarselli esperimenta l'universalità – senz'anima – il suo farsi carne e sangue, senza la memoria (inevitabilmente congiunta al delirio sensuale).

Recensione
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