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Il giovane professore (insegna Filosofia del diritto alla Bocconi di
Milano) Tuzet, dopo una sua prima serie di pubblicazioni poetiche con editrici
anche d’ottimo livello nazionale, ora si cimenta con questo saggio, A
regola d’arte, dimostrando un’eloquente preparazione, perlomeno nella sua
specifica materia d’insegnamento, che suscita persino invidia. Si tratta
dunque d’un lavoro di carattere preminentemente teoretico, vertente su una
tematica, la letteratura, che non è solamente teoria ma che richiede quella
praticità di realizzazione segmentale che va ben oltre il pensiero. Non di
meno, o forse proprio perciò, pari all’acume dal quale muove la sua analisi
critica in ambito letterario, soprattutto poetico, l’articolata consequenziale
analisi la trovo di notevole interesse.
Il saggio è suddiviso in cinque parti: “Sulla pianura”, “Costruire la
poesia”, “Note su scienza e poesia”, “Prima e seconda natura”, “Due
istigazioni”; più un appropriato, preciso supporto di note.
La parte iniziale, attinente il motivo “pianura”, è circoscritta
all’opera di Corrado Govoni, e in un certo senso è spiazzante. Mi spiego.
Tuzet piuttosto che soffermarsi sull’aspetto canonico accalappia alternative,
impensabili osservazioni, ugualmente strutturali. Ne risulta un’elevata
critica "spuria", metodicamente inusitata. La poesia govoniana – perché
soprattutto poetica è la critica dell’Autore – non è aggredita nelle sue
usuali e basilari manifestazioni, bensì è affettuosamente accarezzata da una
diversiva, attenta, scrupolosa mano dialettica, guantata, che sviscera
originali prospettive. Dall’incipit, affermando che per la pianura govoniana
«la definizione è in negativo», in quanto «luogo dell’assenza» (1§,
p. 5), dà di fatto le coordinate sulle sue intenzioni. A chiusura della
stessa sezione sul poeta copparese, conferma l’unicità dell’analisi con
l’esclusiva dichiarazione che «Govoni non è un poeta di contrasto […]. È un
poeta di congiunzione».
Quanto alle sezioni seconda, terza e quarta, la ricerca non è
incentrata più sul singolo scrittore ma sul fenomeno letteratura in generale.
Ed è proprio qui che l’impostazione si avvale totalmente dell’approccio
teoretico.
Cospicuo esempio è posto nella "natura", che spesso è inclusiva delle
tematiche poetiche più in generale. Si assiste ad una variazione concettuale
della stessa, rispetto alla tradizione critica (cfr. pp. 44-51). Una
citazione, a pag. 46, del grande Mario Luzi, tratta dal suo Discorso
naturale (Garzanti, Milano 2001, p. 19), è il fulcro di tale originalità,
che, in quanto tale, diviene fondamento critico: «forse si può fare l’ipotesi
che il tempo della poesia […] è un tempo in cui si incidono senza tempo le
cose che sono sempre accadute e che sono sempre eventuali ed accadibili».
Tipologia a sé rappresenta l’ultimo argomento di discussione. Il
titolo, "Due istigazioni", è sintomatico d’una doppia posizione "d’attacco".
Muovendo dal futurismo, che in Tuzet ha un profilo di riguardo, a proposito
della poesia – intesa nella sua piena accessione, di poetica attinente
all’arte in generale e di poesia stricto sensu –, la prima
"istigazione" è l’imperativo "Sia la poesia logica", in contrapposizione ad
una poesia sovente irrazionale che, pur navigando nel senso d’una tendenza
controcorrente, è scevra di quelle connessioni logiche che ne fanno perdere
per strada il suo significato espressivo (pp. 52-53). A conclusione d’opera
(p. 54), l’altra "istigazione" è un decalogo: "Dieci cartucce per rinascere".
In particolare, il punto 4 ribadisce la funzione positiva del futurismo («Sì,
il futurismo è un bacillo ibernato da rianimare»). Ed il finale punto 10 si
riappropria dell’osservazione del precedente paragrafo, con la perentoria
affermazione che «Senza il compromesso sentimentale della buona tavola e del
sofà, oggi occorre questo: un’arte logica e precisa».
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Recensione |
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