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Questa
Ballata per un compagno
è una composita raccolta di poesia, che mette in
risalto essenzialmente tre tronconi argomentativi: l'amore, la socialità
e, implicando un'ulteriore suddivisione tematica (in quanto coinvolgente
elementi sia umani sia geografici), il dedicatorio.
La distinzione
organicistica che è stata effettuata nell'impaginazione del libro, pur
mantenendo una triplice idea di separazione tra contenuto e contenuto, verte su
un concetto di diversificazione più vario. Di fatto, le prime diciotto poesie,
la cui parte è intitolata ragazzo
scalzo, devono intendersi come sequela della prima
infanzia (anni 1957-'59). La seconda sezione,
paesi e compagni,
composta d'altrettanti componimenti, corrisponde pienamente alla surrichiamata
divisione dedicatoria, dal duplice orientamento, geografico ed umano; peraltro
inglobando la composizione omologa, che dà titolo di copertina all'opera.
Mentre, la terza parte, rime,
con una proiezione d'insieme alquanto diversiva, comprensiva delle suddette tre
categorie, include una dozzina di poesie appunto in rima. Si tenga presente che
comunque la rima è, a tratti, presente ovunque, ma specialmente nella seconda
parte della raccolta.
Principale punto di
riferimento della poetica di Silvano Callaioli appare la forma lunga, sostenuta
in una quanto mai variabile struttura in strofe, talora anch'esse molto dense di
versi. Non per niente, Ballata per un compagno, espressione primaria
della silloge, è un poemetto di sei pagine e mezza. Se ne possono contare almeno
una quindicina di poemetti, varianti dalle tre pagine alle dieci.
Venendo allo stile,
se ne deduce un modulo abbastanza univoco, tale da rappresentarne un vero e
proprio stilema. Non troppo chiaro, per la verità. O, al limite, trasparente
nella versificazione più attuale, degli ultimi anni. L'immagine più conforme
della consapevolezza di far poesia del nostro scrittore si nota sicuramente
nella suddetta forma del poemetto. Tuttavia s'evidenzia, questa volta in maniera
lampante, una stratificazione tra il verseggiare della giovinezza e quello degli
anni successivi, che dovrebbe essere il più maturo. E dico "dovrebbe" in quanto
non dà, nell'insieme, tale sensazione critica. Sembra molto più evoluto, invece,
quel poetare dichiaratamente fanciullesco appartenente alla sezione
ragazzo scalzo. Come può essere possibile un esito del genere?
Sembrerebbe un anacronistico controsenso. Però ad una congrua analisi non è
difficile spiegarsi il perché. Ed è presto detto. Le prime poesie, proprie
perché tali, hanno riservato un margine di revisione e soprattutto di "limatura"
da essere diventate pressoché perfette, almeno secondo il potenziale sviluppo
stilistico-estetico dell'autore. Viceversa, per le più recenti non è così.
Circa la rima, a
mio avviso, qualora la s'incontri sporadicamente, ossia casualmente innestata
nelle strofe, non trova nessuna controindicazione. Ma laddove – vedasi l'ultima
serie di dodici componimenti – sia forzatamente, cocciutamente cercata, il
risultato estetico langue. Non può non essere così. Altrimenti per avallare
l'ipotesi d'una poesia in rima esteticamente apprezzabile occorrerebbe dedicare
molta pazienza nella combinazione delle varie soluzioni. Pazienza nel trovare la
soluzione verbalmente piacevole. Pazienza nella collocazione ed interazione
delle rime. Pazienza nella prima stesura; e, poi, in ricognizione, pazienza dopo
la stesura. Pazienza pazienza pazienza… tanta pazienza.
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Recensione |
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