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Eridano Battaglioli, detto Dano, da poeta nato qual è, ora, in forza di quest’ultima silloge poetica (ultima e non ultima, ne sono certo!), dimostra d’essersi ulteriormente specializzato in questa sua gioiosa attitudine. La sua arte, immancabilmente attratta da "una felice simbiosi di fotografie e poesie" – così, giustamente, afferma l’introduttrice –, assume, ad ogni appuntamento con una susseguente pubblicazione, evidenti miglioramenti.

Una sorta di preambolo (pp. 8 e 9, non numerate) pone il la concettuale, che identifica la pienezza del significato che il Poeta dà alla poesia. Quale prima pietra del suo interiore edificio, irrompe con la seguente dichiarazione: Scrivere || Scrivere m’aiuta | a vivere | […] | è come un amore | che mi fa | sentire dei brividi. Poi, pagina a fronte, quasi il sigillo, a completamento dell’opera di edificazione, il titolo che apre definitivamente alla sua doppia performance fotografica-poetica: "Non solo parole".

Tra le novità che arricchiscono di nuovi, significativi valori estetici l’opera di Battaglioli s’intravede un’umanizzante metafora della natura, con la quale la medesima natura assurge a essere umano, rafforzando, in definitiva, la grande ammirazione che Eridano ha per essa. Il componimento "Sul fiume", di p. 21, nel giunger dinamico della notte, descrive uno sfinito solleone che s’assopisce sulle soffici acque del Po, su di lui "posando il capo", dove se ne percepisce quell’innocente, appagata serenità di un fanciullo.

Ma, prim’ancora, è il solito, questa volta più delicatamente palesato, senso di "Eterna quiete" – p. 12 – a rappresentarne un conseguimento filosofico. Si osservi come, a pag. 41, in "Quattro passi nel parco", il silenzio sembri fondare base teoretica addirittura nel pensiero del Poeta. In modo tale che il lettore possa cogliere quella demiurgica scossa, del tutto inavvertita (dallo stesso Poeta), tale da mettere l’Autore nella creativa condizione di cogliere, in maniera esteticamente apprezzabile, le bellezze del creato.

Quiete ed eternità-infinito, sono anche l’aspetto di un altro fattore di rilievo, questa volta sinestetico. Emergono più che mai, in quest’ultima raccolta di Dano, due fondamentali sinestesi: una, generalizzata, del profumo (c.ff.r. le pp. 18, 20, 60: "profuma di sole"; "profuma di sera"; "e il sicomoro | si veste di profumo") ; l’altra appunto, binomiale, che fonde la quiete in un eterno-infinito (c.ff.r. pure pp. 25, 40, 44: "dove odi | il cuore battere, | come le ali | dei cormorani"; "il vento è musica"; "[…] il sole | mi brucia l’ombra").

Lo spunto maggiore, quanto a maturità estetica, lo ritengo in ogni caso rintracciabile a pag. 65, in "Muri di pietra", nel verso "ricchi di miseria". È esemplificativo di una paradossale espressione. Ad evidenziare l’ossimoro di un’incisiva contraddizione poetica.

Della serie Poeti che crescono, in nostro Dano è tra i più felici candidati!

Recensione
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