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«Con puntualità svizzera» asserisce Gianna Vancini, l’autrice della
prefazione, riecco fare capolino, questa volta anche in libreria, Dano, con
l’ennesima raccolta di poesie e fotografie. Un inequivocabile meccanismo
fisiologico, direi bioritmico: ogni anno un libro – potrebbe essere il titolo
della sua serie poetica. Il precedente l’aveva pubblicato esattamente, nello
stesso mese di febbraio, un anno fa.
Ormai mi sono abituato, nelle mie immancabili recensioni su Dano,
d’infiorarlo a dovere. La realtà è che effettivamente il nostro poeta
ferrarese sembra assimilare, libro dopo libro, una poetica di perfettibilità,
che parrebbe illimitata, a questo punto, osservando l’ultima silloge.
Dall’iniziale ed iniziatica verve d’intimistico poeta del cuore e della
natura, che l’ha portato a connotarsi nell’orbita locale della poesia
all’insegna d’una dichiarata e fiera semplicità, la proposta poetica di Dano
si sta di volta in volta trasformando in qualcosa di stuzzicante.
Dall’alba al tramonto… è, intanto, l’icastica parentesi
della sua talmente radicata passione ad una doppia tipologia artistica,
fotografica e poetica, che indica la precisa disponibilità dell’artista Dano a
dedicarvisi a tempo pieno, potendo, se non fosse per la gestione della sua
attività di fotografo professionista.
Leggendo con avidità la presente silloge (quando si dice florilegio
non sempre si ha a che fare con un’opera di pertinenza, mentre l’opera di Dano
lo è nel doppio senso della poesia, quella ormai vera, e dell’oggetto, se non
della medesima poesia scritta, di quella sua poesia fotografica che ne fa un
artista unico), non ci metto molto ad intuire un ulteriore passo,
determinante. L’acquisita maturità del linguaggio, intesa prevalentemente
nella direzione di un notevole ampliamento del vocabolario, che rilevavo nella
precedente raccolta Un fiore per ogni stagione, ora è una maturità che
accresce in maniera specifica il poeta. V’è un tuffo nella qualità che incide
sul "prontuario" dello scrittore di poesia. Ed è il sorpasso della metafora
analogica con la metafora concettuale. Qual è la differenza? La
prima si estrapola nel rapporto tra cosa e cosa, ed in Dano, tra fiore e
cuore, e viceversa. Laddove la seconda, che più avvalora la poesia, implica un
traslato indiretto, da costruirsi, nella soggettività dell’autore e del
lettore, tramite un’analitica elaborazione del verso (per es. “Mi sono tuffato
| sull’asfalto, | dopo la pioggia”, cfr. "Nell’attendere la primavera",
p. 45).
Anche la forma (parlo della peculiare metrica di Dano, una metrica
tutta sua) è stata nuovamente rimodellata. Non è cambiato granché, sia chiaro.
Si ravvisa il fatto che quella forma "a pettine", che nell’alternanza di due
versi lunghi ne contiene uno più corto, è diventata una forma "a pettinella",
accorciata cioè di ben sei versi: da quindici a nove. Il che vale a dire,
accorciata di due terzi rispetto alla precedente performance, intraprendendo
la strada d’una "poetica di sintesi", che, non dimentichiamolo, caratterizzò i
nostri grandi ermetici. Anche se, diversamente da Dano, erano adusi ad un
verso assolutamente libero e fondamentalmente sinestetico-concettuale.
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Recensione |
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