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Silloge. questa, raffinata, lussuosa ed ampiamente degna
d'attenzione e di apprezzabili rilievi. Ben strutturata ed impaginata (doppia
copertina plastificata, con alette; pagine in lucido). Ottimamente accompagnata,
realizzando una sia pur minima sinestesi tra poesia e fotografia (fra ed oltre
le cinque sezioni poetiche). Altrettanto bene rappresentata, nella sua simbolica
(iconico-visiva) e critica esplicazione. da due illustri personaggi: Franco
Manescalchi, per la postfazione, e l'italo-americano Tony Vaccaro
nell'accoppiamento fotografico. (Mi si conceda una postilla. Le fotografie, in
bianco e nero, attingono pertinente documentazione. in linea coi versi della
Poetessa, a partire dal periodo 1944 – con elementi bellici molto eloquenti –
fino ad arrivare, quale massima escursione temporale, al 1966.) E, soprattutto.
scritta con la rara qualità del vero poeta, con icastica delicatezza e calibrato
intuito.
Nella descrizione formale (intendendone una forma larga, di
massima, al di là del canone, in quanto nel verso è viva una tenace volontà di
libertà) del poematico florilegio in disamina mi piace far mia la definizione
del postfatore (p. 61), in cui pensa l'opera come «un canzoniere per stazioni
liriche tematico-cronologiche dove l'io e il tu finiscono col fondersi in un
gioco di dissolvenze [...] di tristezza fabulatoria di natura leopardiana». Del
resto è proprio questo il fulcro critico della raccolta. Coglie nel segno fin
dall'incipit la serrata e seria, quanto mai realistica analisi del Manescalchi.
La prevalenza della personalizzazione del concetto astratto (l'estraniante
"tu"), resa senza alcuna mezza misura in "Sensibilità", in "Ma che realtà sei mai?",
in "Quando tu, tormento", in "Della vecchiaia" ed in "Della morte", avvicinano alla
cognizione del potenziale lettore motivazioni che avrebbero un peso altrimenti
teoretico, lontano da una poetica impregnata di estetici ed appetibili
rintocchi. come risulta essere invece, sia d'acchito sta nella tenuta, la
globale performance di Nicoletta Corsalini. Talora una fine sorta di
contraddittorio. talvolta paradossalmente univoco ("Ora che gli anni", "Ma che
realtà sei mai?" ed in special modo "Della vecchiaia") talaltra più parossistico
ma che mette realmente a confronto un concetto con un altro ("Della vita", primo
componimento della V sezione, pur nella finzione dialogica interposta cui
l'Autrice magistralmente dà voce, in effetti si contrappone a "Della morte",
ultima poesia) ingigantisce l'idea del concetto-persona, dando quasi corpo allo
stesso concetto, per quanto sia invece muto oggetto.
Quanto alla già annunciata portata tipologica del poema, più
precisamente del poemetto. che costituisce il contenitore della presente opera,
un tale edificio realizza in maniera eccellente un ulteriore gradimento
d'intenti poietici. assumendo in toto il predetto sintetismo tra il tu e che unisce la proposta concettuale all'intimità, unica e nel
contempo diversiva. Oltretutto, fondendo meglio, nell'esaustiva sostanza, le
emotività che sommuovono i prevalenti dettami trainanti il cogente del sociale
con l'afferente del soggettivo. Magari non sarà un semplice caso se proprio
nella massima apertura al poema, nella misura dei nove canti di "Guarda. si sono
rotte le parole" (titolo che reca in sé i prodromi d'una condotta dissacrante
della parola), alle pp. 35-39, nelle due strofe di chiusura, si legge «Io sono
| la tua maledizione, | un raggio di sorella Fortuna. || Io sono Poesia, |
abbandonati...».
Ma è, in definitiva, un concetto che concede di parlarglisi
addosso. L'organizzazione tematica, poi. è pedagogicamente tesa a
raggiungere il percorso e l'antitesi vita/morte, facendo scorrere nelle vene del
fruitore, tramite l'eloquente complessità dei versi, i sapori/odori
dell'esistenza. le sensazioni maggiormente epidermiche d'uso tutt'altro che
ambiguo, riuscendo, con la magia del poeta-illusionista, a duplicare reali
momenti, e per ciò stesso mementi, del l'esistenza.
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Recensione |
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