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Di buona levatura questa pubblicazione di Giancarlo Bugarin, sotto tutti gli aspetti. Un’opera poliedrica, che unisce insieme arte figurativa ad arte letteraria, poetica nella fattispecie. Uno iato ben riuscito che, tra scultura, pittura e poesia, amalgama uno stile senz’altro aduso al mistero (quasi un ossimoro) di una terrestrità palesemente alla ricerca della trascendenza. Una metafisica in itinere, la sua. Quid in bilico tra il materiale e lo spirituale. Nella scultura (bronzi, terrecotte, marmi, bassorilievi petrosi), il cui livello raggiunge prestazioni ottimali, meglio ancora che nella rappresentazione grafica (acqueforti/acquatinte/puntasecche), che comunque sono sempre di buona qualità, l’aspetto materico spicca effettivamente il volo verso la trascendenza, grazie a pose scultoree (in maniera particolare) o a rappresentazioni più strettamente figurative d’un’ispirata intensità contingentale, che denota emozioni improvvise, turbolenze o effusioni interiori di straordinaria potenza (es. Seduta al bar, pastello; Ricordo, pietra arenaria; L’urlo, terracotta).

Nelle sue variegate tipologie artistiche, precisamente quarantacinque figurative e cinquantatrè poetiche, complessivamente v’è l’alterna onnipresenza o del sogno o dell’anima. Per cui, scartando l’afflato simbolista (forse escludendone unicamente Richiamo d’amore, bronzo e ferro battuto), l’anelito metafisico s’intravede nella tensione d’una concreta corporeità verso l’irreale mondo della dimensione onirica se non di quella spirituale, intangibile, giammai divina – in quanto l’artista sembrerebbe orientato alla spiritualità creativa (interiorità) piuttosto che alla spiritualità pura in fuga verso il religioso (immortalità) –, dell’anima.

Ecco realizzarsi ciò che Neuro Bonifazi definisce «il prodigio della creazione, l’arte di dare forma all’informe, di liberare nel marmo, insieme alla figura, il suo stesso amore», p. 7. Di fatto, sul sogno così si esprime Bugarin, nella performance poetica: «Rifugio è il sogno | che accorda, come strumenti | di una grande orchestra | passato, presente, futuro. | […] | sogno liberatore» p. 101, Libertà di sognare.

Mentre il suo «animo è sospeso | fra un volo di rondine | e il frinire di un’ultima cicala», in Collina di Montalto, p. 104. Più in particolare, l’Autore vorrebbe farsi lui stesso arte. Vorrebbe «essere divisibile | in tanti colori | per dipingere | su tele infinite», p. 108, Mio malgrado. La dichiarata versione maschile dell’anima credo denoti, più di qualsiasi altra peculiarità, quest’esigenza di fuga dal reale dell’uomo, l’artista, che sente il bisogno di divenire qualcos’altro. Trasformarsi in un “materico” alter ego. E, forse, è solo successiva, indiretta la sua tensione all’immortalità, passando essa cioè attraverso la trasformazione da uomo a opera d’arte da lui medesimo realizzata e che in quanto tale è destinata a perdurare, quanto meno parecchi anni dopo la morte dell’artista. Ed il capolavoro si sa che diviene eternità.

Recensione
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