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«Il mare color catrame»,
titolo parallelo a quello del racconto di chiusura (Il mare morto), il
quale rimarca una leggera differenza e che rafforza il senso peggiorativo del
significato – nei rispettosi termini della querelle che l'autore
intende proporre –, dà l'esatta idea della sostanza sociologica e nel contempo
contestataria del tono di detto libro di Fulvio Turtulici.
Pur presentandosi come fattispecie
narrativa, l'opera in questione è assemblata da un aggiuntivo carattere
saggistico, che rende all'insieme una diversiva originalità. La tenuta del
saggio è alquanto palese specialmente in Senza titolo, Il mercato
e Opinioni eterodosse di un punk, conseguentemente comunista. Non per
niente tali titoli risultano essere attigui nell'impaginazione.
Oltretutto, nell'ultima opera
citata (Opinioni…) la coscienza della contestazione, certamente
esondante la normale critica costruttiva, proposta nella vastità dissacrante
delle vedute di un punk, si circoscrive ad un'indicazione ancora più
specifica che richiama un'opinione politica – quella di un certo comunismo
agli estremi del buonsenso – comunque non democratica, classista, per
l'ampiezza d'una libertà annusata in un'ideale pressoché populista. Voglio
chiarire che non si sta demonizzando la finalità dell'autore. Si sta solo
cercando di conchiudere un topos letterario, e se si vuole narrativo,
sottolineando il peso sociologico della protesta (reale o fittizia che sia non
importa, di fatto) a riguardo anche di certuni elementi fondamentali, perfino
di rilievo costituzionale, talora determinanti l'assetto economico e
finanziario del nostro Paese. Condivido in pieno la doppia definizione circa
le situazioni esemplificate dallo scrittore, data dal prefattore, nel senso di
una liminare osservazione di quelle che «Zygmunt Barman chiamerebbe "vite di
scarto"» ed, in senso globale, di quella "vita offesa" così come ipotizzata
dallo stesso Mezzasalma (cfr. pp. 5 e 8). Riterrei, in aggiunta, che la
sottilissima ironia, di stampo indubbiamente iconoclasta, di Turtulici, che,
esagerando ad arte, pone il lettore nell'amletica contrapposizione di mandare
a quel paese il libro, l'autore e forse anche l'editore, e, al contrario, di
mandare ugualmente a quel paese lo Stato e tutte le sue regole "democratiche",
riesca a rendere giustizia a delle ingiustizie di ordine sindacale, politico,
civico e più generalmente sociale, sulle quali ricade la "denuncia" e che
costituiscono, per l'appunto, argomento dello scrivere dell'autore siracusano.
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Recensione |
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