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Davide Battaglia, trentatreenne di Poggio Renatico (Fe), debutta con questa silloge poetica, di una quarantina di componimenti liberi e monostrofici – tutti di un’unica strofa.

Poesia, la sua, raggranellante le purezze sia della natura sia dell’interiorità umana, che denotano, come scrive l’Editore Riccardo Roversi in quarta di copertina, una costanza del rapporto mente-spirito. Poesia, come da autodichiarazione, dal duplice movente 'dell’assenza' e 'del silenzio', per cui "ogni parola | ed ogni silenzio | sono un lungo viaggio | da affrontare soli, | cercando di cadere | nel piccolo abisso | dell’assenza" – cfr. Poesia, p. 41.

Prim’ancora dell’assenza è la meditativa compenetrazione nell’altrimenti impenetrabile status del silenzio ad imporne l’abbrivo. A pag. 7, in un’accorata dedica giustappunto destinata al Silenzio, si legge: "Stanco | di dover sentire tutt’altro, | ho ascoltato le tue parole. | Sei tu, | ristoro di anime inquiete, | a darmi il privilegio | di saperti amare". È proprio in una tale appiattita, impalpabile contingenza ("Quando il buio conquistò la stanza | ed il silenzio lo seguì fedelmente | sentii avanzare in me | uno tra i desideri più arditi") che il giovane poeta immedesima l’armonia dei versi: "Essere melodia, | ed infine giungere | dopo tanto vagare, | ai tuoi sensi" – p. 10. Addirittura viene esteriorizzata la parola, o all’inverso, è il poeta che s’interiorizza nell’astratta eppure concreta (all’atto della scrittura-lettura) veste del verso, facendo equivalere in un tutt’uno il Sé col linguaggio, ovverosia il pensiero con la fatidica stesa del 'nero su bianco'.

Così, realizzandosi sulla pelle dello scrittore il suddetto presupposto, coincidenza di buio-silenzio (naturalmente il buio è un’oscurità solamente ideale, perché al buio non si riuscirebbe materialmente a scrivere nulla, senza l’ausilio della luce elettrica, che di conseguenza lo inficerebbe) e di assenza, il concetto inizia la sua performance estetica sfoggiando un’esibizione di ballo-canto (cfr. L’ultimo ballo, p. 15, Ballando con la notte, p.17 e Il nostro canto, p. 23). E, dando peraltro consistenza all’eponimo significato del titolo dell’opera, proprio a pag. 23, ecco l’autoproclamazione che eleva l’uomo ordinario alla soglia (e finanche oltre) della poetica, acclamandolo a tal punto uomo-poeta, inoltrandolo di conseguenza nell’onda delle gesta d’antichi aedi e pindarici cantori – "Io sono qui | per risvegliare un canto antico, | ritrovarlo dopo averlo perduto | e sentirlo muoversi | per le strade a tarda sera, | nelle campagne | sotto arie dorate. | È il nostro canto, | una nota pulita | necessaria alla vita". Con tanto di rima baciata finale, mosca bianca della presente raccolta, Davide Battaglia vuole far risaltare a tutti i costi (ne ha tutte le ragioni del mondo!) quella purezza d’intenti e di finalità che, sola, sa rendere merito al vivere, insaporendo l’esistenza col suo giusto dosaggio di sale, che in termini umani ha il significato di saggezza.

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