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Il segreto degli invisibili
Che questa raccolta
necrologica di Rossano Vittori sia o non sia direttamente ispirata alla
celeberrima
Antologia di
Spoon River (Spoon River Anthology, Saint Louis,
Missouri, 1915) di Edgar Lee Masters non è dato imprescindibile. Se
nell’Antologia del poeta statunitense sono liricizzati gli epitaffi degli
abitanti d’una fantasiosa Spoon River, qui, in questa serie di schede mortuarie
analogamente visionarie e vorrei dire fantasmatiche, sostanziate
nell’autoreferenziale forma diaristica d’ognuno dei soggetti in vario modo
deceduti, il poeta assurge a demiurgo. Dà identità a chi altrimenti non ne
avrebbe. L’essere e il non-essere si combinano, amalgamando ipotetiche vite
segnate da una marginale disperazione. Cosicché la potenziale entità umana mai
stata, o forse solo incidentalmente esistita, assurge al rango di concretezza,
sintetizzando un barlume di vicenda umana. Esistenza sinottica ai massimi
termini esplicativa d’una coesistenza purchessia nella sfera degli uomini. Ma
vale il fatto che chi mai avrebbe identità l’acquisisce. Esclusiva immagine del
poeta, il quale la costruisce raschiando il barile delle infinite probabilità
nei rapporti di reciprocità, limite tra una normalità minimale ed una prevalente
emarginazione.
Sono quarantanove gli
“invisibili” che guadagnano una propria singola e singolare vicenda umana.
Quarantanove brevissime storie, effimere quanto il volo d’una farfalla, che
inscenano una serie di componimenti poetici ottimamente caratterizzati.
Sarebbe impresa
dispersiva cercare un intrinseco significato del numero 49 che nel contesto
raggruppa le identità di questi “invisibili”, tutte persone decedute in maniera
drammatica, freddamente (sì come la morte impone) descritte dal Vittori con
rigorosa, sommaria ed inevitabilmente macabra postilla in calce. Molteplici
simbologie si sono accumulate nei secoli, tra la congerie e difformità
d’interpretazioni da parte di popoli, razze e soprattutto religioni. Variegate
sono anche le opinioni che oggigiorno ne fanno motivo di discussione in senso
prettamente cabalistico e scaramantico. Per cui non saprei se tale quantum sia
stato un mero tecnicismo editoriale, espediente d’impaginazione, o autentica
icona pensata dall’autore.
Invece sulla struttura
dei versi, tenendo presente che Rossano Vittori predilige uno stilema vocato
alla sintesi, della cui espressione ne abbiamo ulteriore prova in questa sua
silloge, va rilevato che egli non adotta di certo la forma classicheggiante
dell’endecasillabo, né di stampo foscoliano né di quello ancora più rigido,
espresso in ottave, dal Pindemonte che, nel loro intercorso diacronico
‘certamen’ poetico (I cimiteri, 1805, dell’ultimo; i Sepolcri,
1806, del primo) contribuirono, più o meno volontariamente, a rivitalizzare, con
alternativi presupposti, quella poesia ossianica base di cimento dei poeti
elegiaci del secolo che li precedette. Questa, del Vittori, è poesia
assolutamente diversiva, moderna, che investe tutto sull’idea piuttosto che
sulla forma. Non c’è corrispondenza a nessun canone e a nessun altro ordine
strutturale. Non è nemmeno poesia del puro concetto, inteso nella sua teoretica
ideologia, ma d’un pensiero che si pone come mattonella della fantasia. Che
nella sua susseguente espansione, composizione su composizione, innalza una
casuale modulazione del verso. Il segreto degli invisibili crea “l’idea
di un cimitero con una sua anima, con un suo carattere e una sua dimensione
umana”, proprio come scrive in maniera condivisibile Luciano Luisi nella
prefazione. E lo fa elogiando il poeta livornese per un linguaggio “forbito e
preciso”. Ed è chiaro che è un linguaggio che non disonora la poesia ma semmai
ne erige un presupposto sostitutivo d’ogni sorta di canone.
Ferrara, 24 dicembre 2019
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Recensione |
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