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Silloge poetica che, per l’autore, rappresenta il debutto con un’opera tutta sua, non in condominio.

Le quarantacinque poesie che assemblano l’opera sono introdotte e conchiuse con due emblematici, quanto determinanti componimenti (Prologo, p. 9, ed Epilogo, p. 53), ambedue a centratura di computer, a differenza degli altri quarantatré, che osservano un’impostazione tradizionale. Altro tratto comune di tali due poesie è il fatto che l’ultima è multipla della prima, essendo l’una di quattro versi (due strofe distiche) e l’altra di otto versi compatti. È perciò possibile captare l’intenzione del poeta di dare l’impronta di un’organicità. Cosa che non dovrebbe risultare difficile, visto che, in linea di massima, è intravedibile un argomento abbastanza compatto nella sua espressione concettuale: un 'dinamismo' (pp. da 16 a 31 e, in un’ottimale metafora, a pag. 43: Fossile) meglio rappresentato dall’idea d’una 'morte-ritorno'. Un indubbio ossimoro, ben caratterizzato soprattutto nell’ultimo terzo del libro, nel filone di pagine 33-38 ed ancora, in maniera altrettanto icastica a pag. 45, con la poesia, appunto, Ritorno.

L’eponima Io siamo, di p. 12, peraltro citata, a mo’ d’esergo, dalla prefatrice Carla Baroni, ci ragguaglia sull’apparente sfasatura verbale presentata in copertina come titolo della raccolta. Sull’esempio, dogmaticamente innegabile, della figura trinitaria di Dio, Gamberoni vuole affermare la sua 'fede' poetica: «Io non sono io. || Io siamo! || E come altro potrebbe essere | se anche tu, mio Dio, non sei, | non sei solo tu ma siete: | siete Padre, Figlio | e Spirito Santo».

Il dogma trinitario fa dunque da trampolino di lancio per l’estetica teoria del nostro poeta. Da lì avvia, poi, quel movimento d’urto, vera ed autentica onda oceanica, che piuttosto di mettere in discussione gli opposti della vita li focalizza e li strumentalizza nel musicale, armonioso gioco o giocatolo che è dato dal divertimento che solo chi ne è all’altezza sa trovare nell’atto inventivo che può far sgorgare poesia. L’onda è davvero uno strumento, sia pur parziale, ma efficacissimo, col quale l’autore rincorre la sua dinamica idea di catturare il verso. Vedansi le pagine 39, 40 e 48, correlative ad Insìnuati in me, E tu che vieni a me, Madre di Muros. Ecco che il moto dell’esistenza diventa talmente fluidificante da essere ben allegorizzato in onda. La vita diventa onda. E l’onda assume, a tal punto, la duplice veste di realtà e di allegoria. Una sequenza interminabile di onde. Mareggiate che, trovato un precario arrivo sul lido, tosto recuperano il posto nel grande contenitore del mare. Un ciclo continuo, inarrestabile.

Ma, tornando al clou del modus poetandi di Claudio Gamberoni, il riferimento alle tre persone nell’unica entità mi fa venire in mente altresì l’identità teatrale di Luigi Pirandello (del resto Pirandello ha lasciato un’eredità letteraria che in sé incarna mille aspetti non solo della scrittura ma anche del pensiero). Naturalmente penso ad Uno, nessuno e centomila in particolare.

Recensione
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