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La pisana Patrizia Lasagni è alla sua opera prima. Laureata in Economia
e Commercio e, di recente, in Conservazione dei Beni Culturali, ha voluto,
proprio con la pubblicazione in disamina, dare conferma delle sue specificità
scientifiche in materia di cultura. Di fatto, il romanzo in questione, che
prende a tema un particolare aspetto del patrimonio culturale italiano, quello
della musica concertistica – e nella fattispecie si tratta di uno di quegli
strumenti ideati e costruiti con l’oculata parsimonia d’intenti e d’accorgimenti
dello Stradivari, la viola soprannominata appunto La Medicea –, si
riversa, grazie alla sua eloquenza descrittiva, nella dimensione internazionale
dei beni culturali medesimi. Tramite certo Pietro Siena, restauratore e
soprattutto falsario, imbroglione per amor d’arte – vero protagonista in primis
del romanzo, pur essendo incorporato in una cornice che fa d’apertura e da
chiusura di una trama meramente pretestuosa, ossia l’avvincente vicenda del
ritrovamento, della successiva scomparsa nonché della definitiva
sostituzione-restauro della viola medicea –, la Lasagni riesce a suscitare nel
lettore l’interesse possibile ed immaginabile su quanto attenga la sua materia
professionale. Tra antichissime chincaglierie, gioielli d’antiquariato quali
pendole, orologi, statuette; pregiati sedili, suppellettili religiosi o
istituzionali; accessori vari, materiali d’un valore talora inestimabile, non
possono mancare le chicche per eccellenza: le tele dei più famosi e quotati
pittori di tutti i tempi. È nell’ambiguità circoscritta alle doti del falsario e
della sua rapinosa originalità che il Siena impersona, unitamente ad un fidato e
capacissimo collaboratore, che vengono svelati e presentati, con amorevole cura,
capolavori di Dürer, Van Gogh, Van Dyck, Gainsborough, Kandinsky, Picasso, Dalì,
Fragonard, Renoir ed i nostri non meno immensi Caravaggio e Botticelli… ed altri
ancora.
Furti, più o meno casuali rinvenimenti, restauri e relativi trucchi e/o
misteri, propri d’un’esclusiva manualità di pochi del mestiere, rendono vivo ed
emozionante un intreccio che, anziché avvalersi di singolari sfumature, sia
interiori sia fisiche e fisiologiche, d’umani interpreti, si concentra, e ne
sviluppa l’autentica, assorbente narrazione, su “cose”, su oggetti, sull’arte in
generale. Tant’è che «Ciascuna di queste meraviglie […] porta in sé un’anima
eterna e incommensurabile … quella di chi li ha sentiti… pensati… voluti… quella
che ha guidato mani straordinarie […] L’anima! […] E l’anima occorre per vedere…
per sentire… per capire… L’anima!» – cfr. pp. 163-164. Già l’incipit, che vede
quale emblematico ed isolato protagonista proprio lui, Stradivari, l’unico,
l’insuperabile, nel venir meno della sua terrena esistenza, in punto di morte,
impartendo al figlio, erede del suo delicato artigianato, le ultime
raccomandazioni, e confidandogli gli ultimi determinanti accorgimenti in fatto
di creazione di viole, violini e violoncelli, ripetutamente gli sussurra: «…
l’anima!… l’anima!». Il figlio però non capisce a quale anima il padre alluda.
Crede che significhi aver cura dell’interno dello strumento, della sua cassa
armonica. Non comprende che l’anima ce la deve mettere lui.
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Recensione |
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