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La poesia delle stagioni
– visive emozioni
Eridano Battaglioli, meglio noto come Dano, continua imperterrito – e ne ha ben
donde – a sfoggiare libri e libri di binaria poesia, applicata sia alla
fotografia (poesia in senso lato) e sia alla letteratura (quest’ultima poesia
per eccellenza).
Sulla sua doppia impronta, ossia dal punto di vista visivo (foto-poesia) e da
quello strutturale (caratterizzato da sintesi e forma a pettinella), e sulla sua
vocazione alla Natura ormai, essendomi più volte ripetuto, voglio solamente
ribadire che, ambedue gli elementi, costituiscono l’inconfondibile stilema di
Dano.
Per le ultime, più recenti sillogi è stato optato un differenziale sui colori
o non-colori (bianco e nero), sulla qualità della carta (come anche in
quest’ultima occasione: bellissima carta lucida, patinata che ben mette in
risalto gli esemplari cromatismi della fotografia, quasi all’unisono con quelli
della copertina, prima e quarta) e sulla collocazione dell’apparato scritturale
rispetto a quello fotografico (varietà d’alternanza, ma soprattutto variazione
quantitativa nel rapporto tra scrittura e fotografia, con prevalenza ora
dell’una ora dell’altra o, raramente, con identica estensione).
Nella presente, ultimissima raccolta il rapporto pende, in maniera
schiacciante, a favore del carattere fotografico. Facendo due calcoli, le
fotografie, di dimensione alquanto variegata (dal menomo quadratino ad
addirittura alla doppia pagina), talora con collocazione obliqua o trasversa,
rispondono ad esattamente 36 scatti fotografici. Mentre appena 11 sono i
componimenti poetici in senso stretto: nemmeno un terzo dell’impaginazione. Non
è altro che un semplicistico dato di fatto, questo voler fare i conti,
sollecitato da una curiosità che non occorre nemmeno troppo stuzzicare, perché
evidentissima ne risulta già la prima impressione.
Poco male! in quanto la potenza visiva della poesia che Dano sa trarre dalla
Natura ne sovrasta il contesto.
Ho parlato di “Natura” per il lampante motivo che, pur trattando, Dano, anche
altri aspetti umani, l’afflato eco-biologico è invariabilmente, ed oserei dire
prepotentemente (in maniera schiacciante), prevalente.
Chiaramente, nelle visive emozioni nuovamente proposte, il nostro
poeta rende giustizia a quell’entità temporale commisurata alla quadrangolare
quanto inesorabile cadenza delle stagioni. Esaltando sempre le migliori
peculiarità che né il troppo caldo né il troppo freddo possono corrompere alla
visione d’una estemporaneità sempre attuale della macchina fotografica.
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Recensione |
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