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È la medesima "Posta d’autore" (quelle puntuazioni ricavate dalle varie
lettere, recensioni, annotazioni critiche pervenutegli da altri scrittori ed
artisti) a farne da certificazione, quale l’attestato di benemerenza
attribuibile a Dano. Dieci pagine fitte fitte di elogi, complimentazioni,
proclami di stima ed amicizia che fanno guadagnare la più viva soddisfazione
al poeta ferrarese.
La poesia è sempre stata trattata dal Battaglioli con i guanti di
velluto, vestita dei più bei tagli di stoffa offerti dal mercato, arricchita
di quell’immancabile abbinamento fotografico naturistico che sa elevare a
canto, a inno, la natura. Anche se non è la sola natura ad essere protagonista
del suo verseggiare – la quale è almeno quantitativamente presente quanto la
dedicazione parentale, e talora amicale –, sicuramente in essa il nostro
autore sa cogliere il senso precipuo d’una poetica. «I miei pensieri / nascono
/ dove riposano / le ombre» scrive, proprio nell’ultimo componimento, a
conferma della sua bucolica indole. "Le ombre" di Dano non sono tetre ombre né
di morti né di fantasmi, né di bui esistenziali né di tristezze altrimenti
intelligibili. Le sue ombre sono soleggiate e soleggianti proiezioni delle
propaggini, mani e braccia, della natura. Ombre che, quantomeno, ristorano.
Sono ombre che lo sostengono interiormente. Sono «un tetto / d’emozioni»; sono
«pensieri», che «volano / come dei sogni», in ibidem.
Non è difficile allora comprendere come mai Dano possa essere
catalogato il "poeta del silenzio e/o del sogno".
Del "silenzio", in quanto, pur nella sua duplice loquela poetica e
fotografica, muta eppure eloquente, riesce a cogliere la sintesi di un
apparente vocio: del vento che sussurra o fischia le sue effusioni, e persino
della pioggia; delle acque del Po e del suo delta, che rumoreggiano a seconda
della contingenza della portata; degli uccelli, che nei loro garruli o
striduli suoni esprimono un’attività diversiva, meno impegnata, non oberata,
rispetto alla vita dell’uomo; e, tra i più impercettibili rumori, i minimi
aliti degli alberi e delle altre piante, dalle quali Dano (io credo di
conoscerlo bene!) trae giustappunto il suo sognare.
E circa il "sogno", credo anche che, con esso, Dano s’ispiri a
dovere e riscriva la realtà umana in base ad una dimensione che solo delle
creature angeliche sanno respirare (cfr. "Per custode un angelo", p. 65).
Respiro che, di conseguenza, trasmette la condivisione nell’animo del lettore,
alla stregua del sorseggio d’un elisir di lunga vita.
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Recensione |
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