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Singolare davvero quest’ultima opera di Nicola Bergamo. Anche dal lato editoriale, ché (non capisco se per mera scelta o per una banale questione di spazio) quella che bene potrebbe essere un’introduzione (probabilmente dell’autore – devo parlare doverosamente al condizionale perché non è indicato, come si usa, in calce, nessun nominativo di provenienza) è invece posta, a mo’ di nota, in quarta di copertina. È lì, in buona sostanza, il succo della pubblicazione. Si evince, infatti, che L’orteseo (lo scrivo senza accenti, così come lo trovo pubblicato) altro non è che la versione in veneto dell’Hortulus d’uno Strabone ispirato alla spensieratezza come non mai, dedicandosi ad una parentesi poetica dal tono specificamente botanico di liber officinalis, o accantonando la scienza, se vogliamo invece dirlo in forma letteraria, bucolico e più appropriatamente georgico. Un poemetto strutturato nella geometrica forma dei 444 esametri, che sarebbe stato concepito a sette anni dalla morte dell’originario autore.

Ora Nicola Bergamo dopo essersi cimentato in latino e a più "cerebrali esercizi", avendo ottemperato per quell’ibrida scelta che sta di traverso tra il latino, l’italiano corrente e l’idioma volgare, che sinteticamente si definisce "maccheronica o altrimenti maccheronea, o, dicendola insieme all’autore, macaronica", ci mette davanti al fatto compiuto d’una versione dal latino, che è appunto questa in disamina. Con la puntuale precisazione che si tratta del testo latino curato da Cataldo Roccaro, per l’Herbita Editrice, Palermo 1979.

La domanda che sorge spontanea è "Perché andarsi ad imbrigliare nella versione di un testo latino, e per giunta, dal siffatto diversivo carattere, prettamente vegeto-ortolano?". Bergamo, o chi per lui, ce ne dà una lampante, ferma risposta: «La traduzione che qui si propone si inserisce in un progetto culturale di ampio respiro: l’interesse attuale per il naturale ed il biologico, per la tipicità, lo slowfood e gli alimenti a Km zero [che] hanno consentito lo sviluppo, con particolare riferimento al Veneto, di numerose iniziative tese alla promozione del territorio e delle sue attività in campo enogastronomico. Manca a questo fermento chi canti con gli strumenti della poesia l’esperienza e [la] civiltà umana che hanno reso possibile questo rinnovato interesse per il gusto più genuino, lacuna che intendono colmare la Pro Loco di Scorzè e l’Associazione Amici del Radicchio di Rio San Martino, patrocinando la traduzione in lingua veneta dei testi poetici antichi e medievali che hanno cantato la vita all’aria aperta», cfr. quarta di copertina. Così ci viene tra l’altro anche rivelato il duplice patronage che avvalla la scelta finalistica dell’opera.
Recensione
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