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Nell'ampio curriculum di Tribaudino la plaquette in oggetto ha il sapore di un bocconcino fuori programma che si aggiunge al suo formidabile appetito creativo. Nella fattispecie, si connota un'estroversione classicista, non in toto ma comunque in buona prevalenza.

La tenuta libera del verso, assolutamente mancante di echi rimici, poco aperta anche a forme allitterative, non per questo priva di motivi armonici, trova come principale presupposto, che ne fa una poesia diversiva ed interessante, un doppio senso strutturale, un innovativo parallelismo metrico. Quella sorta di fren dell'arte, che Giuliano Landolfi gli attribuisce (cfr Giudizi critici, p. 31), come "capacità di scrittura poetica che sa trattenere la forza della sua ispirazione nel giro di dieci versi", impedendo "ogni eccesso sentimentale", a ben guardare è un'evidentissima peculiarità che riesce a far letteralmente quadrato nella forma. Dei ventiquattro componimenti della raccolta una ventina sono di fatto conformati nel doppio binario di un verso e di un'unica strofa ambedue composte da dieci unità metriche. In quest'esemplare poesia, non solo monostrofica ma addirittura monostica, il decalogo non è rigido bensì è da intravedersi in una configurazione mediamente ricorrente. Pertanto, considerando, da un canto, il computo sillabico del verso e, dall'altro, il numero dei versi nel corpo strofico, si registra una misura due volte decaloga tale da definire una poesia quadrata (10 x 10), perfettamente simmetrica in latitudine e longitudine.

Oltre a tale fenomenale metodo di edificazione degli elementi strutturali sono evidenti gli spunti spiccatamente esistenziali e nel contempo sociologici delle motivazioni che solleticano l'estro del poeta torinese. E le pertinenti consistenze che se ne deducono appaiono talora improntate ad allegoria o a metafora, talché creano nel lettore le giuste sensazioni che fanno della poesia sacrale, unico se non subliminale momento di degustazione estetica.

Recensione
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