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Liliana Boschetti, rodigina di Castelmassa, alla sua
quarta pubblicazione poetica, con la silloge in oggetto, Nel dialogo,
avvalendosi di una doppia prestigiosa prefazione, che ne dà le coordinate
tecniche e metodiche ancor prima dell’inizio, presta una performance di rara
bellezza, proponendo e, considerato il curriculum, riconfermando tutta la sua
abilità di scrittrice del verso.
Una poetica, questa della Boschetti, che pur
profondendo, nei lacerti delle strofe, una classicità, appunto espressa in
minime, centellinate pertinenze, riesce a plasmare metafore e allegorie ogni
volta moderne, attuali, spesso caratterizzate dall’ulteriore tocco cosmico. È
perciò inequivocabile il taglio sibillino, che ne fa un prototipo "simbolista"
ma che tale non è coerente definire solo perché ormai il vecchio "simbolo" è
altrimenti connotabile in un’iconicità-icasticità epocale la cui definizione
la si può decifrare nell’ampio cifrario di più tendenze anziché in un
esclusivo movimento.
Da una parte è palese la classicità. Dall’altra
s’intravede, non unicamente in filigrana, un esondante insieme di dettagli
atti a realizzare un menu storico, documentaristico nonché fotografico
(tale da complementare il tessuto poetico con altra tipologia artistica),
grazie alla costante presenza di foto che riconducono ad una notoria mitologia
tratta dalla grecità (foto di Nike), ma altresì da un esotismo che se è
conosciuto lo è solo in parte – sicuramente noto è uno dei bronzi di Riace,
inserto in chiusura. L’identità del modulo, proprio in forza dell’ampliamento
del plafond artistico, che ne sfaccetta la proposta, rendendola binaria,
risulta perciò poetico e visivo. Ma non anche poetico-visivo, in quanto poesia
e illustrazioni fotografiche (che indirettamente riportano arte scultorea) non
sono legate da alcun nesso tematico.
La suddivisione della raccolta in tre sezioni (Orto
murato, Un dì si venne a me malinconia, Le favole)
frammenta, in limine, anche le direttrici ispirative. Così, se nella prima
risalta la tessitura esistenzialista nelle pieghe della reciprocità col
prossimo; nella seconda, dove s’avverte una prima influenza leopardiana sulla
costruzione dei versi (che prosegue, meglio connotata, nella successiva),
l’esistenza assume trattazione più concettuale. Mentre, nella terza sezione,
le favole sono storie di siti, di paesaggistici panorami, che di fatto
mettono in risalto le bellezze della natura e dell’architettura, e le
"vicende" della geografia, il suo conformarsi al passo con la storia.
Mi piace terminare rubando alla Poetessa un paio
di aggettivi molto presenti nella raccolta, dicendo cioè che la sua poesia
attrae nella lettura per un "ruscellante", "gorgogliante", ritmo. Un ulteriore
tocco di versatilità, che nello specifico è musicalità, davvero emulativa dei
rasserenati rumori e suoni della natura!
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Recensione |
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