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Ludovica
Cantarutti, validissima poetessa ma altresì ottima giornalista (Il Sole 24
Ore, La Nazione,
Raiuno), narratrice ed autrice di teatro, con Nel prudente abbandono
esprime, ancora una volta, una poetica altissima, per eccezionalità di
linguaggio e per la condivisa socialità dei temi trattati. Sia chiaro che, per
quanto detto, non è poetessa ottimistica, rasserenante, divagante. Tutt’altro.
Sta di fatto che, come succede per le medicine, la Cantarutti riesce ad
indorare i suoi versi con efficaci eccipienti, piacevoli surrogati,
edulcorandone in definitiva l’amalgama, ricavando amenità, gusto, laddove
altrimenti non ve ne sarebbe affatto. Vale a dire che, tra una forte
sentimentalità d’amore ed una cornice di simpatia per le bellezze della
natura, è riversato, quasi assorbito, gorgogliato, il dolore della trista
vicenda umana (pazzia... odio, malvagità, guerra). Si nota difatti come il
poemetto Guerra in Bosnia, le donne sia posto nell’intermezzo, tra la
prima serie di componimenti e la deliziosa serie, a chiusura d’opera, delle
Poesie per un anno.
Il
paradigma del titolo della silloge riflette il senso di scappatoia cui assolve
la poesia della Cantarutti, d’interiore panacea. Si veda Fluida la chioma:
“Così l’animo mio | [...] rifrange la pena | cerca rifugio nel prudente
abbandono”, p. 23.
Va aggiunto
che la poetessa ama un cimento mediamente breve, magari articolato in canti o
comunque in frazioni ugualmente brevi. I dodici componimenti iniziali delle
Poesie per un anno, dedicati ai relativi mesi, sono tutti,
indistintamente, di sei versi compatti, privi di divisione strofica. La loro
reiterata dimensione di sei versi potrebbe serbare un’ulteriore iconografia.
Mi sorprenderebbe che fosse un caso!
Il
fondamento del modello estetico dell’autrice si registra nell’invariabilità
d’un’espressione molto metaforica, mai però ermetica. Non esclusa la matrice
metafisica, facilmente intuibile, per esempio, ne L’angelo dell’albero di
Natale.
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Recensione |
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