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L’eloquenza, di stile e d’intenti contenutistici, è consacrata in un percorso di coerenza che dal 1999, con Polaroid, opera prima, giunge sino ad oggi, con quest’esemplare (per costrutto e per estetica) raccolta poetica, dall’alta tenuta animistica. Perché, in buona sostanza, è un’ottima ’poesia d’anima’. Anima e parola, nei nuovi versi di Angelo Andreotti, non hanno nemmeno bisogno di singole precisazioni, in quanto sono fusi in un unisono, alquanto lampante, di poiesi e di finale tratto poetico.
Non c’è umano, realistico, terreno spazio neppure per un cogente linguaggio dettato da una logica punteggiatura e conseguente regolamentazione delle lettere maiuscole (neanche per i nomi propri di persona, se non bastassero le altre canoniche ipotesi). Nemmanco esiste un referente che possa essere diverso dall’io-poetante, sempre. La parola è data a e dettata da l’anima. E l’anima, essa stessa parola, non può che parlare di sé. Sì, anche laddove siano gli elementi della natura (mare, vento, sole… nubi), s’avverte la predominante presenza dell’anima-parola-Io a sovrastarne strofe e versi. In “vento di mare“, p. 53, ad inizio della seconda strofa, la specola-registro dell’anima si palesa in un qui che dà l’idea d’una riduzione dei contestuali soggetti, anzi d’una loro definitiva sottomissione all’Io del poeta-anima. Altra inevitabile conseguenza è l’annichilimento dello spazio e del tempo. All’anima non servono. Essa s’aggira, rincorre e sfugge un suo “infinito presente“ (pp. 58-60), viaggiando, inavvertita ma onnipresente, tra passato e futuro. È qui – ribadisce il nostro singolare poeta-mito – il mondo in quest’onda di luce, p. 71. Poesia, nell’insieme, cristallina. Di quella trasparenza, ialina e nel contempo concreta, che solo l’anima saprebbe evidenziare se davvero essa potesse materialmente scrivere poesie. Lasciamoci, proprio per questo, amabilmente coinvolgere dalla magistrale parola di Angelo Andreotti, un uomo magnificamente attratto dalla saggezza dell’anima-mundi. Dulcis in fundo, per chiudere il cerchio, lasciatemi dire che la vera poesia, come questa, non scrive alcunché nei versi, né talora descrive, bensì disegna. Che cosa? Tracce, orme di pensiero. Icone d’estetica pura, che nella loro quintessenza esprimono, contemporaneamente all’afflato epifanico della parola, più d’un concetto. |
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